La violenza sulle donne continua ad essere un fenomeno molto diffuso anche nel mondo dello sport. Uno studio pubblicato lo scorso 9 aprile e realizzato da Kirsty Forsdike e Fiona Giles, due ricercatrici dell’ateneo di Melbourne La Trobe University, ha preso in esame negli ultimi 25 anni le ricerche basate sulla testimonianza e l’esperienza di donne in materia di violenza di genere nello sport. E’ emerso innanzitutto che raramente gli aggressori sono ritenuti responsabili e, anzi, spesso sono liberi di continuare ad abusare delle vittime. Gli allenatori o altre figure di comando sono gli autori più comuni, seguiti da atleti di sesso maschile. Lo studio ha anche riscontrato un altro dato preoccupante; “la normalizzazione” di questi comportamenti violenti considerati intuibili fin da subito e che sono poi “regolarmente scusati solo per ottenere risultati”.

Uno studio precedente, datato 2020 e condotto su 1.665 atleti d’élite in Germania, Paesi Bassi e Belgio, ha rilevato tassi estremamente elevati di violenza fisica denunciata (25%), violenza sessuale (31%) e violenza psicologica o emotiva (72%). È stato riscontrato che le donne sportive subiscono abusi più degli uomini, in particolare violenza sessuale. Nella ricerca effettuata di recente si è rilevato infatti che l’82% delle 886 persone intervistate aveva subito qualche forma di violenza interpersonale nello sport da bambino e che i tassi erano più alti tra le ragazze e gli individui con diversità di genere.

Spesso però chi riesce a denunciare si ritrova sola, priva di aiuto anche da parte delle organizzazioni sportive, soprattutto a causa dell’assenza di codici di condotta, dell’omertà e della mancanza di riservatezza, perché “tutti conoscono tutti”. Le donne quindi sono spinte a proteggersi da sole e c’è di più: in molti casi le atlete vengono derise e accusate. Questo aspetto è legato al fatto che le dinamiche nei gruppi sportivi funzionano come quelle di una famiglia allargata, creando le condizioni per quella che molti studi e le autrici stesse chiamano “violenza familiare sportiva”. Le atlete infatti trascorrono molto tempo all’interno del nucleo familiare sportivo, creando stretti rapporti con il loro allenatore, altre figure e compagni di squadra. Il rapporto allenatore-atleta comporta inevitabilmente uno squilibrio di potere. L’abuso di tale differenza porta a danni significativi e impatti negativi sulla salute mentale, con le atlete che spesso si rifiutano di denunciare l’atto violento e altre che semplicemente si ritirano del tutto dallo sport. Quindi è una situazione peggiore di quello che potrebbe essere, perché con l’allenatore si instaura un rapporto di fiducia che non dovrebbe essere in qualche modo violato.

La ricerca ha inoltre rilevato come le donne siano ancora considerate “inferiori” agli uomini nel mondo dello sport, una discriminazione si traduce in una forte ostilità nei loro confronti perché ritenute “come una minaccia alla mascolinità egemonica dello sport.” Questo è stato riscontrato in particolare negli sport femminili non tradizionali come il judo, la boxe e in ruoli dirigenziali o ufficiali. Ad esempio, sono state analizzate le esperienze di 8 donne ex arbitri di basket provenienti da cinque stati diversi degli Stati Uniti che hanno lasciato volontariamente il loro ruolo a causa di una forte disuguaglianza sociale percepita. Nelle loro esperienze è infatti emerso un quadro di inciviltà dato principalmente da 4 fattori: la mancanza di rispetto da parte degli uomini, un’iniquità percepita, una mancanza di modelli e aver subito un maggior numero di episodi di abusi rispetto ai loro colleghi maschi. La combinazione di questi quattro fattori ha portato così all’impossibilità per queste donne di connettersi alla comunità arbitrale che le ha costrette poi a ritirarsi dal ruolo.

Quindi sebbene le donne possano essere in grado di esercitare un certa autorità attraverso la resistenza collettiva, il potere spesso rimane nelle mani degli uomini e delle istituzioni sportive da loro guidate. La notizia migliore però è che alcuni governi e organizzazioni sportive internazionali stanno sviluppando politiche, procedure e strumenti. Ma questo non basta: occorrono leggi che tutelino le vittime di queste situazioni spiacevoli affinché tutti possono avere l’accesso a un ambiente sportivo sicuro.

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