“L’eredità politica di Giacomo Matteotti non dovrebbe essere tanto ciò che è avvenuto dopo l’omicidio, ma quello che è successo durante la sua vita. Se c’è un messaggio politico, citato anche da Antonio Scurati nel monologo censurato in modo vergognoso dalla Rai, è che il fascismo, al contrario di quanto spesso cercano di raccontare i post fascisti che vorrebbero edulcorare gli effetti del ventennio in Italia, è violento e codardo sin dalle origini, dai primi anni ’20. Matteotti viene ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924, neanche fece in tempo a vedere le ‘leggi fascistissime’ . Ma lanciò l’allarme sul pericolo della violenza fascista e sulla riduzione delle libertà già nel gennaio ’21. Se c’è un messaggio è proprio questo: è vietato riscrivere la storia a proprio piacimento“. A rivendicarlo è Vittorio Zincone, giornalista e autore del libro “Matteotti. Dieci vite“, edito da Neri Pozza, nel corso della presentazione a Roma, insieme a Giorgio Zanchini. A cento anni dall’omicidio fascista, Zincone nel suo libro ripercorre la storia di Matteotti e la descrive come “quella di un uomo, di un leader politico, che ha visto avanzare il fascismo centimetro dopo centimetro”. E ancora: “È la storia di una resa, quella dell’Italia e della sua classe dirigente, nelle mani di Mussolini”.
Alle quattro e trenta di pomeriggio del 10 giugno 1924, ricorda Zincone “sei criminali della cosiddetta Ceka fascista, la polizia politica clandestina il cui elemento di spicco è Amerigo Dumini, aspettano il deputato socialista Giacomo Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, a Roma. Lo circondano, lo picchiano e lo trascinano in auto. Matteotti, che ha già vissuto un’esperienza simile, cerca di reagire, fino a quando una lama non gli trafigge il costato uccidendolo. Mussolini è immediatamente informato dell’assassinio, ma inizialmente finge di non saperne nulla. Sette mesi dopo, quando il regime sotto accusa sembra traballare, si prenderà la responsabilità politica di quell’omicidio. Nel corso dell’anno successivo instaura una dittatura destinata a durare fino al 1943″. Ma chi era Giacomo Matteotti? “Figlio ricco, in quanto proprietario terriero, del poverissimo Polesine, socialista riformista, giurista brillante, sindacalista energico, neutralista-pacifista, antiretorico, antipopulista e molto coerente nei comportamenti. Marito assente, ma presentissimo”, spiega Zincone. Ricorda come i detrattori e la stampa liberale e cattolica dell’epoca lo attaccassero come “il socialista milionario, impellicciato”, ma come in realtà anche il modo in cui conosce la miseria dei braccianti lo aiuta a diventare socialista: “Passa la sua vita a tassare se stesso, a immaginare i modi per migliorare la condizione degli altri, anche togliendo alla propria classe”.
“In questo Paese chi continua ad ammirare quel ventennio fascista fa fatica ad accettare un discorso come quello di Scurati. Chi vuole riscrivere la storia, chi come il presidente del Senato Ignazio La Russa racconta che a via Rasella sono stati uccisi dei suonatori in pensione e non dei nazisti delle SS, chi racconta (come Giorgia Meloni, ndr) che alle Fosse Ardeatine sono morti degli italiani e non degli antifascisti e degli ebrei, chi racconta queste balle storiche, probabilmente non vuole sentire quale sia la vera storia di questo Paese“, rivendica Zincone. E ancora: “Meloni non riesce a fare i conti con la parola ‘antifascismo‘ perché ha vissuto la coda degli anni ’70, individua una forza violenta che va a caccia di fascisti, che secondo lei non lo erano più. Questo è sbagliato, anche perché si può distinguere tranquillamente dall’antifascismo storico, necessario per portare la libertà in questo Paese”.
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