“Voglio fare un appello: chiedo al governo di dare un messaggio chiaro contro ogni rigurgito di sopraffazione e a favore della tolleranza e della libertà di espressione“. A pronunciare queste parole è Elena Matteotti, la nipote di Giacomo Matteotti, il deputato socialista ucciso da una squadra fascista per volere di Benito Mussolini il 10 giugno 1924. “Questo messaggio non deve partire solo dalla presidente del consiglio Meloni – aggiunge – deve essere accolto da tutti i partiti. Il fascismo che uccise mio nonno ora non c’è ma bisogna sempre essere vigili”. Elena Matteotti ha 67 anni, lavora come docente di italiano agli stranieri, vive a Roma: è figlia di Matteo, uno dei tre figli del martire dell’antifascismo. Sottolinea come “questo 25 aprile per me è diverso perché è l’anno del centenario dell’omicidio di mio nonno”. Proprio dall’assassinio di Matteotti cominciava il monologo che lo scrittore Antonio Scurati, autore della trilogia M, avrebbe dovuto leggere su Rai3 ma che è stato tagliato per decisione, ancora non chiarita, della tv pubblica.

Un messaggio alla politica che Elena riassume in quattro parole: “il coraggio di esporsi”, come fece Giacomo Matteotti a costo della vita. Eppure quel delitto per gran parte della vita di Elena e della sorella Laura fu un tabù più che una memoria familiare, come racconta all’agenzia Ansa. “Mio padre Matteo non ne ha mai parlato in famiglia – dice – credo abbia taciuto per proteggerci da una violenza che neanche lui alla fine aveva ben elaborato. Del resto quando mio nonno morì mio padre aveva solo tre anni. La prima volta che compresi che mio nonno era morto in maniera violenta avrò avuto circa tre anni: era ad una celebrazione il 10 giugno sul Lungotevere, c’erano Pertini e Saragat, io li chiamavo ‘nonno’, quel nonno che non avevo avuto. Ma nessuno mi spiegò mai chi lo aveva ucciso e come”. Elena lo capì a scuola, appena adolescente, come e perchè Giacomo Matteotti era stato ammazzato. “Ho vissuto una parte della mia vita senza il perché di questo passato importante e deflagrante – aggiunge all’Ansa – non ne parlavo con i miei genitori e neanche con mia sorella. Ora però sto recuperando questa memoria, è un viaggio complicato ma voglio anche trasmetterla alle nuove generazioni. Con i miei figli e i miei nipoti, uno di nome Giacomo, ci siamo confrontati. Per questo il 25 aprile e il 10 giugno sarò a Fratta Polesine“, il luogo natale di Giacomo Matteotti. Nel comune, in provincia di Rovigo, si trova la casa-museo nell’abitazione in via Ruga in cui il deputato socialista trascorse gran parte della sua vita insieme alla famiglia: ora è chiusa per essere riallestita e riaprirà a giugno in tempo per le celebrazioni del centenario. “Ci saranno molte iniziative per il 10 giugno anche col capo dello Stato, anche lui duramente colpito in famiglia dalla violenza, e credo che l’unica maniera per potere omaggiare la memoria di mio nonno sia quella di esporsi mettere la propria faccia per difendere la democrazia e la libertà, mettersi in prima fila per difendere i valori della Liberazione. Il fascismo non c’è ma la storia ci ha insegnato a vigilare”.

Sulla figura di Matteotti si era consumata anche una vicenda abbastanza imbarazzante per il governo riguardo alle iniziative del centenario e al ritardo dell’erogazione dei fondi. Una questione che era stata sollevata in Parlamento dal Pd al quale aveva risposto il ministro che ha le deleghe Andrea Abodi (che come compito principale ha quello di seguire lo sport). Abodi in quell’occasione aveva ammesso i ritardi parlando di “problemi burocratici” e assicurando che i finanziamenti sarebbero partiti al più presto.

Sul rapporto tra il governo di destracentro e il 25 aprile, giorno della Liberazione, è tornato oggi Primo Minelli, presidente dell’Associazione partigiani di Milano. “Un pezzo significativo di questo governo non riconosce il 25 aprile” dice minelli. Il fatto che il vicepremier Matteo Salvini abbia scelto proprio il 25 aprile per presentare il suo libro a Milano, per esempio, “è un non riconoscere questa festa, né più né meno” ha osservato, aggiungendo che comunque altri amministratori della sua coalizione festeggiano la festa della Liberazione. Alle parole del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che ha parlato “della violenza dell’antifascismo”, Minelli ha replicato che “i morti dell’antifascismo si chiamano Matteotti, si chiamano Gramsci, fratelli Rosselli e don Minzoni“. Il presidente dell’Anpi milanese sottolinea che “bisognerebbe che qualcuno spiegasse agli italiani il significato della fiamma che c’è dentro il simbolo di un partito, per onestà intellettuale” ovvero la fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia “che rimanda a quella sulla tomba di Mussolini“. “Un po’ di nostalgia c’è in questo Paese – conclude Minelli – e fosse solo nei gruppetti insignificanti che ci sono, non sarebbe una tragedia. Ma non si riconosce il 25 aprile come cemento unitario di questo Paese. A esclusione dell’Msi, tutti hanno votato la Costituzione. Se poi questo Paese ha la memoria corta, non so cosa farci”.

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