Non se l’aspettava nessuno, anche se se lo aspettavano tutti. La chiusura “fino al cessate il fuoco” decisa da artisti e curatori del padiglione israeliano alla Biennale di Venezia, comunicata ieri, all’anteprima stampa, non pare sia bastata a placare le contestazioni intorno alla presenza di Israele all’evento, anzi. Questa mattina, secondo giorno di apertura su invito, e primo di inaugurazioni dei padiglioni nazionali, intorno alle 11 circa 500 persone si sono radunate davanti ai padiglioni di Israele e Stati Uniti ai Giardini di Biennale – si trovano uno accanto all’altro – per un’azione di protesta che è tra le più forti che la kermesse veneziana abbia conosciuto negli ultimi decenni.

I manifestanti – tutti entrati nell’area dei Giardini di Biennale nelle ore precedenti con invito/accredito -, facevano parte della rete Art Not Genocide Alliance, che da mesi chiede l’esclusione di Israele dalla Biennale sul modello di quanto fatto per il Sudafrica, causa apartheid, dal 1968 al 1993, riuscendo a raccogliere finora 24 mila firme. Tra i dimostranti la maggioranza erano stranieri, in particolare europei e americani, alcuni erano artisti che espongono in questa Biennale. Sotto lo slogan “No death in Venice / No to genocide pavilion” (No morte a Venezia, no al padiglione del genocidio) hanno distribuito e lasciato in giro per i Giardini centinaia di volantini in cui si denuncia la politica israeliana a Gaza, urlando “Shut it down” (“Chiudilo”) in riferimento al padiglione israeliano, non ritenendo sufficiente la chiusura temporanea decisa dagli artisti. Il corteo si è spostato dal padiglione israeliano, a quello statunitense, fino a quello tedesco, “sanzionando” con slogan e volantini i tre governi che, a detta del corteo, hanno le maggiori responsabilità per il massacro in corso.

Nonostante una organizzazione pregressa apparsa capillare, il presidio ha colto di sorpresa le forze dell’ordine, la cui presenza era stata rafforzata anche per evitare contestazioni (davanti al padiglione di Israele sono presenti stabilmente due militari) e ha sfilato all’interno dei Giardini senza incontrare contestazioni – nonostante slogan quali “la Germania è uno stato razzista” o “Israele è uno stato terrorista”, urlati ripetutamente – né da parte delle forze dell’ordine né del pubblico. Il corteo aveva un taglio pro Palestina, più che anti israeliano, nonostante qualche coro contro il governo Netanyahu: moltissime le bandiere palestinesi e i cartelli che condannano l’aggressione in corso. Il gruppo, uscito da Biennale senza incontrare resistenza, si è sciolto qualche centinaio di metri più in là. L’azione si è peraltro tenuta in contemporanea alla conferenza stampa di inaugurazione della Biennale in corso all’Arsenale, in un’altra area della città: uno dei motivi per cui le forze dell’ordine non erano preparate a un’evenienza simile. Altri attivisti di Anga, privi di accredito, hanno esposto uno striscione dal ponte di Rialto, nello stesso momento.

La protesta di oggi, chiaramente organizzata con largo anticipo, non risulta avere un legame diretto con la chiusura del padiglione comunicata ieri dagli artisti israeliani, che Anga aveva già comunicato di considerare una scelta non sufficiente.

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