Minacciarono tre testimoni durante un’indagine e per questo sono stati condannati – in via definitiva – rispettivamente a sei e a quattro mesi di reclusione, pena sospesa, per tentata violenza privata. Adesso Michele Ruggiero e Alessandro Pesce, pubblici ministeri in servizio alla Procura di Bari, si avviano a scontare pesanti sanzioni disciplinari: il primo sarà sospeso per due anni dalla magistratura (la conseguenza più grave possibile dopo la radiazione), il secondo per nove mesi. Al rientro in servizio, poi, cambieranno funzioni e sede di lavoro: entrambi andranno a fare i giudici civili, Ruggiero a Torino e Pesce a Milano. Con sentenza depositata il 10 aprile, infatti, le Sezioni unite della Cassazione hanno respinto i ricorsi contro le condanne inflitte dalla Sezione disciplinare del Csm, che quindi diventano esecutive. La vicenda risale al 2015, quando i due pm lavoravano a Trani e indagavano sul cosiddetto “Sistema” di appalti pilotati nella città pugliese: interrogando tre dirigenti di un’azienda che produce sistemi per la rilevazione di infrazioni stradali, li spingevano “con modalità intimidatorie, minacciose, irridenti e irrispettose” – si legge nel capo di incolpazione – ad autoaccusarsi di aver pagato tangenti al comandante della Polizia municipale Antonio Modugno (poi condannato in primo grado a cinque anni e 11 mesi). Sempre da pm a Trani, Ruggiero era finito sotto i riflettori anche per aver portato a processo (con l’accusa di manipolazione del mercato) la società di rating Standard&Poor’s e cinque tra i suoi manager e analisti, tutti assolti in via definitiva.

La trascrizione del colloquio finita agli atti del processo penale (e di quello disciplinare) mostra come i due pm si rivolgessero in modo aggressivo e minaccioso ai tre amministratori dell’azienda, ascoltati come persone informate sui fatti e quindi non assistiti da un avvocato: “Diciamo che le cose che vi dobbiamo chiedere le sappiamo già, vogliamo vedere che risposte ci date. Se quello che voi ci dite non converge, lei se ne andrà in galera veloce“, era l’esordio. “Ti sto sottoponendo a questa specie di chiacchierata per darti la possibilità di salvarti”, “Tua moglie lo sa cosa hai fatto?” “Tu mo’ ti puoi alzare, te ne vai e poi ci vedremo tra un mesetto, però in una diversa posizione, tu dietro le sbarre e io da un’altra parte”, alcune delle frasi riportate. In particolare, Ruggiero si lanciava in un’intimidazione molto articolata: “Noi le vogliamo così bene che vogliamo farla tornare a Trani. La conosceva la città di Trani? Guardi che meraviglia. È bellissima, guardi dal carcere di Trani c’è una visuale sul mare stupenda, e secondo me a lei col problema che ha (ipertensione e stato ansioso-depressivo, ndr) le fa pure bene stare un po’ tranquillo. È la fase della vita nella quale bisogna un attimo rilassarsi, cominciare un po’ a pregare, a farsi un esame di coscienza, a pensare ai nipotini…”. E Pesce: “Il collega ha fin troppa pazienza, perché io l’avrei già sbattuta fuori, ma in manette“.

Altre minacce, poi, riguardavano il destino dell’azienda: “È già rovinata la sua azienda, adesso avrà un provvedimento di interdizione a partecipare agli appalti. Non parteciperà più a nessun appalto da domani mattina”. E ancora: “Lei sta già con un piede nella fossa perché quello che sta fuori, il suo dipendente (…) lui ci ha già dato delle informazioni”. A un certo punto uno dei testimoni quasi li implorava: “Fermiamoci! Fermiamoci! Mettetemi le manette, è tanto semplice”. Ma la risposta di Ruggiero era gelida: “Le manette adesso è una cosa che lei si aspetta, lei le manette le avrà quando lei non se l’aspetta, soprattutto”. Nel processo disciplinare al Csm, la Procura generale della Cassazione (che rappresenta l’accusa) aveva chiesto la radiazione dalla magistratura per lui e la sospensione di due anni per Pesce.

AGGIORNAMENTO
Segnaliamo che in una prima versione dell’articolo, accanto alla foto del dott. Michele Ruggiero, effettivamente coinvolto nella vicenda in oggetto, era stata erroneamente pubblicata anche una foto ritraente il dottor Francesco Di Liso, totalmente estraneo ai fatti che hanno coinvolto i due pubblici ministeri ai quali fa riferimento l’articolo. Ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.

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