“Siamo soddisfatti che finalmente in una pubblica udienza si inizi a ricostruire la verità processuale su quello che è capitato a Giulio e su chi era. Cominciano ad andar via anche un po’ di ombre che hanno gettato su di lui. È stato un lungo percorso per arrivare sin qui. Ce ne aspetta uno altrettanto lungo, ma direi che per ora c’è soddisfazione”. A rivendicarlo l’avvocata Alessandra Ballerini, legale di parte civile dei genitori di Giulio Regeni, Paola Deffendi e Claudio Regeni, al termine dell’udienza del processo ai quattro agenti della National Security Agency. Ovvero, il generale Sabir Tariq e i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, sotto accusa per il reato di sequestro di persona pluriaggravato e (nei confronti di quest’ultimo) di concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
Nel corso dell’udienza, dopo la testimonianza di Claudio Regeni, padre del ricercatore friulano, è intervenuta un’amica d’infanzia di Giulio, che ha raccontato le parole che lo stesso Giulio Regeni le riferì via chat il 16 gennaio del 2016, pochi giorni prima che venisse sequestrato e poi brutalmente ucciso: “Qui c’è moltissima repressione politica e vivo tenendo un profilo molto basso, sono contento di potere tornare a Cambridge”. La teste ha raccontato anche del suo ultimo incontro con Giulio, a Natale del 2015 a Fiumicello, in provincia di Udine, dove vive la famiglia Regeni. “Ci siamo visti, mi ha raccontato della sua ricerca al Cairo, che stava passando molto tempo con i venditori ambulanti, che teneva un profilo molto basso, che era molto stancante”, ha raccontato l’amica.
Claudio Regeni, invece, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, ha voluto allontanare le ombre, ancora una volta, su presunti ‘ruoli’ svolti dal figlio per conto di autorità italiane o estere. “Il sogno di Giulio era rendersi indipendente e trovare un lavoro che valorizzasse le sue capacità. La sua grande passione era lo studio: non è mai stato alle dipendenze di autorità italiane, inglesi ed egiziane. Non hai mai neanche collaborato“.
Parole che hanno trovato conferma anche nella ricostruzione fornita dal colonnello Onofrio Panebianco, che era responsabile – fino allo scorso settembre – delle indagini sulle torture e l’omicidio di Giulio Regeni: “Neanche dalla cooperazione giudiziaria avviata con il Regno Unito è mai risultato che nei tre conti correnti vi fossero delle emissioni di enti statali. E nel complesso del materiale acquisito nel corso delle indagini non c’è un’evidenza che ci autorizzi a ipotizzare la riconducibilità di Giulio a un servizio di intelligence italiano, britannico o straniero”.
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Processo Regeni, quando il ricercatore scrisse a un’amica: “Qui c’è moltissima repressione politica e vivo tenendo un profilo molto basso”

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