Sull’esplosivo utilizzato nel parco nazionale del Cilento e i lavori di “somma urgenza” autorizzati dal sindaco di Camerota (Salerno) per rimuovere porzioni rocciose sulla strada del Mingardo, il Tar dice la sua e boccia il ricorso del Comune. A circa un anno dalla diffusione delle immagini della roccia che, dopo l’esplosione, finisce sulla spiaggia coprendola di polvere, i giudici danno ragione a ministero dell’Interno, Soprintendenza (quindi al ministero della Cultura) e all’Ente Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni Parco. Il primo cittadino, Mario Salvatore Scarpitta, aveva fatto ricorso, ritenendo “illegittime” le diffide e le ordinanze con cui le autorità di tutela hanno tentato di ostacolare una serie di interventi in un’area Sic (Sito di importanza comunitaria) che è anche patrimonio dell’Unesco per la sua biodiversità.

Le esplosioni nel parco del Cilento – La storia risale al dicembre 2022, quando il sindaco Scarpitta, ha firmato un’ordinanza sindacale di “esecuzione dei lavori urgenti ed indifferibili per la salvaguardia della pubblica e privata incolumità”. Insomma, per il primo cittadino era necessario scongiurare il pericolo di crolli sulla strada provinciale 562, tra Marina di Camerota e Palinuro, rilevato in seguito a verifiche fatte eseguire dal Comune. A inizio gennaio, mentre si procedeva con mezzi meccanici chiudendo la strada alla circolazione, alla Procura sono arrivati i primi esposti nei quali si metteva in dubbio l’esistenza di un reale pericolo di crollo e si sottolineava l’assenza di recenti perizie geologiche. A metà gennaio, però, il Comune ha approvato il verbale di “somma urgenza” per rimuovere porzioni rocciose sulla strada, dando l’ok alle operazioni di brillamento, senza seguire il normale iter fatto di autorizzazioni e nulla osta. Il 14 marzo 2023, in uno dei luoghi più protetti del Parco Nazionale del Cilento, è stata fatta esplodere una parte del costone roccioso che sovrasta il tratto compreso tra Cala del Cefalo e Cala Finocchiara.

I rischi e le polemiche – A nulla sono valse diffide e ordinanze di Sovrintendenza ed Ente Parco. Lo stesso primo cittadino a ilfattoquotidiano.it aveva spiegato come le esplosioni non avessero riguardato la falesia, ma massi pericolanti che facevano parte di un vecchio costone crollato anni prima. Valerio Calabrese, del direttivo regionale di Legambiente, faceva però notare che “se si aziona a pochi metri dalla falesia una certa carica di esplosivo, si deve mettere in conto il rischio di danneggiarla, anche dal punto di vista della staticità”. Di fatto, sono scattate alcune interrogazioni parlamentari. Ma le operazioni sono andate avanti, con esplosioni anche a maggio e giugno. Nel frattempo, il Comune ha fatto ricorso contro le ordinanze e le diffide di Sovrintendenza ed Ente Parco, pur non avendole mai tenute in considerazione.

La sentenza del Tar – Eppure, scrive il Tar, “le Autorità di tutela hanno declinato la loro azione inibitoria, conformativa e repressiva in maniera legittima, coerente e ragionevole, nell’esercizio delle prerogative di vigilanza e sostituzione attribuite dal Codice di settore”. Il Comune, invece, “avrebbe potuto adottare un provvedimento contingibile e urgente (al di fuori, dunque, dell’ordinario procedimento di autorizzazione paesaggistica), ma solo per le opere strettamente necessarie a salvaguardare l’incolumità pubblica”. E tali non sono, scrivono sempre i giudici amministrativi, “le opere che si vanno a sviluppare nell’arco di sei mesi anche con l’utilizzo di materiale esplodente”. Cosa è invece accaduto? Il Comune ha adottato provvedimenti straordinari a cui si è intanto opposta la Soprintendenza ritenuti dai giudici “di fuori di qualunque iter istruttorio e motivazionale, procedendo ad interventi irreversibili, su un’area sottoposta a diversi vincoli. Tutto questo senza il supporto nella necessaria documentazione specialistica, come rilievi o esiti di indagini strumentali, redatta da professionisti abilitati, che potessero “accertare la sussistenza di un pericolo concreto ed imminente”.

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