Milano non sta mai ferma. Anche nel mondo del lavoro nero. La nuova frontiera del sommerso è quella delle piattaforme digitali di intermediazione. Bastano pochi clic per trovare lavoratori extra. I bar e i ristoranti le usano nei momenti di picco ma non solo. Tutto sembra regolare. I lavoratori credono di essere assunti, vengono pagati elettronicamente o in contanti, ma al momento dei controlli non si trova traccia dei contratti. Lo raccontano gli ispettori impegnati nei controlli delle imprese all’ombra della Madonnina.

“A Milano il lavoro nero è tornato ad alzare la testa”, racconta al Fattoquotidiano.it Carlo Colopi, direttore dell’Ispettorato d’Area Metropolitana. Il report presentato giovedì insieme a Inail e Inps offre un quadro “preoccupante” nel capoluogo lombardo. Soltanto nel 2023 gli ispettori dell’Inps hanno trovato sedicimila lavoratori irregolari. E il 78% delle aziende controllate aveva irregolarità. Una percentuale che sale all’85% se si guarda al terziario. Il settore più a rischio è quello del turismo e della ristorazione. Qui si registranoi numeri più alti di irregolarità, anche rispetto ad altri settori più tradizionali come quello dell’edilizia. Basta guardare il numero di provvedimenti di sospensione nei confronti delle aziende, misura che viene adottata nei confronti di imprese con una significativa presenza di lavoratori in nero o con gravi violazioni in materia di sicurezza e salute. “Oltre il 60% di questi provvedimenti riguarda proprio il settore della ristorazione e dell’alloggio”, prosegue Colopi che parla di “dati sorprendenti” e sottolinea la necessità di intensificare i controlli nel 2024.

Ma c’è un altro fenomeno che è sempre più difficile da rilevare. “Ormai non ci troviamo solo davanti ai bar che impiegano lavoratori in nero, ma le nostre attività di controllo si concentrano anche sulle grandi aziende con tanti dipendenti – spiega il direttore coordinamento metropolitano di Milano Inps Mauro Saviano – lo scenario elusivo è fortemente cambiato e le aziende che operano in maniera irregolare lo fanno con modalità sempre più complesse”. E così la grande azienda che secondo l’immaginario comune dovrebbe essere “scevra da situazioni di questo tipo – aggiunge Saviano – in realtà può esserne fortemente permeata tramite meccanismi di somministrazione e di intermediazione di manodopera”, come hanno dimostrato le tante indagini coordinate dal pm Paolo Storari. Serve dunque “un cambio culturale” anche nei controlli che dia sempre “più valore alle attività di intelligence da parte degli uffici”.

Intanto il lavoro degli ispettori prosegue senza sosta. Il numero delle aziende controllate dall’Ispettorato è aumentato del 60% tra il 2022 e il 2023. Una delle ultime maxi operazioni condotta da 80 ispettori ha portato al controllo di 65 aziende. Il risultato? 14 lavoratori in nero e sei attività sospese. Ma le difficoltà più grandi sono legate a una carenza di personale che è ormai strutturale. “La pianta organica di Milano prevedrebbe 394 persone, siamo a 169, dunque ce ne mancano 200 per poter agire sul territorio con qualche incisività” aggiunge Colopi. Il motivo delle assenze? “Lo stipendio d’ingresso di un ispettore è inferiore ai duemila euro e questo significa che in una città come Milano dove si spendono 700-800 euro per un affitto lo stipendio non è attrattivo”. Una carenza che si registra anche all’Inps e all’Inail dove servirebbe almeno il doppio di persone. “Ma non è solo un problema di quantità – conclude Saviano – serve anche un cambio culturale per arrivare un passo prima, e non un passo dopo rispetto a chi commette le irregolarità”.

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