Allarme rientrato per il Superbonus nelle aree colpite dai terremoti del 2009 e del 2016 nel Centro Italia. In meno di 48 ore il governo ha cambiato idea e ha fatto marcia indietro sul taglio del bonus che, parola degli esperti, per la ricostruzione era ormai “diventato una necessità“. Lo stop alla cessione del credito e allo sconto in fattura, finalizzato a evitare la manovra correttiva, d’altronde, aveva spaventato tutti nelle regioni del cratere, scatenando polemiche e la rivolta di governatori, sindaci, cittadini e anche addetti ai lavori, persino quelli del centrodestra. Così con una giravolta all’ultimo minuto il Mef, per bocca della sottosegretaria Lucia Albano, ha fatto sapere che “il governo nella sua azione di tutela e sostegno delle comunità colpite a seguito della giornata di lavoro al ministero dell’Economia e in raccordo con la Presidenza del consiglio” assicura che non sarà previsto alcun blocco per i crediti “superbonus sisma”. La deroga prevista per i terremotati, secondo quanto prevede l’ultima bozza, avrà però un limite di “400 milioni di euro per l’anno 2024 di cui 70 milioni per gli eventi sismici verificatesi il 6 aprile 2009”.

Per gli operatori del settore la scelta del governo era stata un fulmine a ciel sereno, tanto che, commenta con amara ironia Paolo Moressoni, vicepresidente dell’Ordine degli architetti di Perugia, sentito dal Fattoquotidiano.it, sembrava quasi che “per ogni festa comandata prendessero una nuova decisione”. Sì perché la scelta del governo era arrivata solo pochi mesi dopo il decreto di Capodanno del 29 dicembre 2023 che vedeva invece di fatto prorogata fino al 31 dicembre 2025 la possibilità di utilizzare lo sconto in fattura e la cessione del credito per tutte le spese relative alla ricostruzione post sisma riguardanti gli importi eccedenti il contributo alla ricostruzione oppure il cosiddetto “superbonus rafforzato”, alternativo al contributo per la ricostruzione.

Tutto rientrato dunque. Ma perché il Superbonus era, ed è tuttora, così fondamentale, tanto da scatenare il panico tra amministratori e professionisti? “Un primo problema – spiega Moressoni – è che sono state alimentate le speranze di tutti i professionisti e dei sindaci che questa cosa sarebbe proseguita anche oltre il 2025″. In più, anche volendo guardare alla scadenza del 2025, per rientrare nei tempi “le pratiche potevano essere presentate entro la fine del 2024”. Per questo la notizia dello stop del superbonus aveva alimentato la paura di possibili blocchi per la ricostruzione.

Il problema principale riguarda il contributo alla ricostruzione che rende necessario, appunto, il superbonus: “Il contributo è insufficiente per gli attuali costi di costruzione – ci spiega ancora Moressoni – E siccome il contributo non viene adeguato agli attuali costi di costruzione, diventa non sostenibile”. Per ovviare al problema si potrebbe adeguare il contributo ai costi attuali, ma, almeno fino a oggi, questa strada non è stata intrapresa, con la conseguenza che tutti i costi non riassorbiti dal contributo rischiano di ricadere sui terremotati che tra il 2016 e il 2017 hanno visto le loro case ridotte in macerie o comunque danneggiate dalle scosse. Eppure, ricorda Moressoni, e questo è il paradosso, nel decreto 189, su cui di fatto si basa la ricostruzione, “c’è scritto che i costi di ricostruzione sono coperti al 100%”. Una copertura totale che oggi è (forse) raggiungibile con il superbonus ma che, appunto, senza rischierebbe di ricadere sui proprietari degli immobili danneggiati.

A oggi poi mancano all’appello moltissimi progetti che quindi, se fosse di nuovo stoppato, perderebbero il superbonus. In molti casi però i proprietari “sono incolpevoli“: “Prima che il proprietario possa presentare una pratica ci sono dei programmi (tipo quelli relativi ai centri storici ndr) non ancora arrivati a compimento. Oppure ci sono delle abitazioni legate a beni culturali” e quindi con pratiche più lunghe. E anche nel caso di progettazioni dei centri storici sbloccate, tipo quelle divise in 4 o 5 macro-cantieri “non si possono fare progetti in poco tempo” ed è quindi “impossibile aver avviato le pratiche aree sisma (il corrispettivo della Cilas per le aree extra cratere ndr)”. Poi ci sono “almeno 20mila pratiche fuori da queste casistiche”, e quindi di abitazioni che non rientrano in casi straordinari ma comunque non ancora avviate alla ricostruzione. In questi casi, secondo Moressoni, si intersecano più fattori. In primis “il superbonus ordinario ha sottratto risorse” all’area del cratere, poi “ci sono pochi professionisti in queste aree” che, negli anni, non sono mai diventate attrattive. Lavorare in luoghi “agevoli” per le imprese, tipo Ancona o la costa in generale, è ben diverso che arrivare a lavorare nell’entroterra dove c’è il rischio che per mesi i lavori siano bloccati a causa del clima o dove è più difficile arrivare per le ditte. A parità di costi lavorare in aree montane e disagiate, insomma, non è conveniente. Va da sé che molti progetti non sono ancora partiti per mancanza di professionisti o imprese.

Per parlare in termini di numeri un contributo alla ricostruzione medio per danni ingenti va dai 1300 ai 1700 euro al metro quadro. In media, quindi, per ricostruire un’abitazione si percepiscono circa 1500 euro di contributi (al netto dell’Iva), a cui poi si possono sommare delle maggiorazioni, relative, per esempio “a dove è ubicata l’abitazione”, quindi che colmano i costi aggiuntivi in caso di prescrizioni date dall’ente. In questi casi le maggiorazioni “possono incidere del 20 o del 30%”, ma in quel contributo va ricompreso tutto, “anche le spese tecniche”.

Anche il superbonus comunque non è la panacea di tutti i mali. “Tanti cantieri non riescono a vedere una fine perché le banche non comprano i crediti”, commenta Moressoni, sottolineando che “tanti progetti non sono stati avviati né presentati perché con questa difficoltà nella cessione del credito, nonostante gli accordi fatti dal Commissario, non si riesce a mettere in pista tutti i lavori”. “Nessuno parte sapendo poi che una quota di soldi la deve mettere il proprietario”. “Se nel 2016 costruivamo a 1200 euro al metro quadro e oggi a 1800 e il contributo è rimasto uguale a 7/8 anni fa, è necessario trovare altre risorse”, conclude Moressoni che auspica un aumento del contributo per la ricostruzione anche e soprattutto per rendere più “appetibili” i lavori nell’area del cratere oggi ancora poco vantaggiose per i professionisti e per le ditte rispetto ad altre zone.

Stesso auspicio manifestato anche dal Commissario straordinario alla Ricostruzione, il senatore di Fratelli d’Italia Guido Castelli che giovedì sera, alla notizia del ripristino del superbonus per le aree colpite dal sisma, in una nota, oltre ad aver elogiato l’impegno del governo (lo stesso che però solo 48 prime rischiava di far saltare la misura), ha sottolineato: “Per le comunità del cratere l’uso del 110% si è reso necessario solo per integrare il contributo parametrico per la ricostruzione, dopo la fiammata inflazionistica che aveva fatto saltare ogni previsione di spesa, a fronte dell’aumento del 30-40% delle materie prime”. Per questo, ha concluso: “Mi auguro addirittura che aggiornando il contributo sisma si possa rapidamente fare a meno del 110%, che per i proprietari degli immobili danneggiati si era proposto come strumento difensivo e integrativo (non certo speculativo) rispetto al contributo parametrico sisma”.

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