di Michele Canalini

Le notizie sulla scuola mi interessano sempre. L’ultima, pubblicata dal Fatto del 7 marzo 2024, è senza dubbio ancora più significativa perché racconta che “in una classe di terza media, 18 alunni su 23 hanno fatto il tema, compito del weekend, facendosi aiutare dall’intelligenza artificiale. I ragazzi però, probabilmente per risparmiare tempo e fatica e consegnare il testo in tempo al docente, non hanno riletto ciò che hanno scritto usando quel trucchetto”. Magari gli stessi ragazzi avrebbero potuto aiutarsi l’un l’altro a scrivere o rileggere quel tema, invece hanno scelto di utilizzare ChatGPT in modo acritico e da semplici fruitori.

Dunque, oggi vale di più l’educazione artificiale rispetto a quella incidentale? Chi di noi non ricorda qualche aiuto ricevuto da un proprio compagno o compagna quando era in difficoltà in qualche disciplina a scuola? Perché l’educazione incidentale è proprio quella forma di aiuto “peer to peer” che rischia di divenire un “altro vuoto a perdere” tra tutti coloro che oggi in Italia scelgono di ricorrere a ChatGPT, come scorciatoia didattica o eventuale facilitatore di apprendimenti.

Eppure, l’educazione incidentale non è affatto marginale e spesso serve a colmare le lacune dell’altra forma di educazione, quella “diretta“ tra docente e allievo. Anzi, in taluni casi la collaborazione tra pari serve a bilanciare certi squilibri che si presentano nel rapporto tra adulto e adolescente, avendo il doppio vantaggio sia di rinforzare nell’autoconsapevolezza lo studente “più esperto”, sia di puntellare le incertezze dello studente bisognoso che si presta con maggior affabilità a un coetaneo.

Lo ha ricordato bene Christian Raimo nel suo volume Lettera alla scuola, scritto proprio con gli allievi di una sua classe della periferia romana e pubblicato di recente: “Ma è altrettanto vero che una parte consistente della nostra crescita avviene anche, e in modo rilevante, nei rapporti tra pari, quelli più simmetrici. In realtà, molte delle conoscenze e delle competenze riescono a essere meglio condivise non tra un maestro e un allievo ma semplicemente tra chi è più esperto e chi lo è meno, quindi non per forza un adulto che insegna a uno studente”.

Ma il più esperto non può essere un’intelligenza artificiale nei cui confronti il rapporto dello studente si rivela sin troppo sproporzionato. Anzi del tutto inutile, perché sarebbe solo un rapporto basato esclusivamente sulla sterilità di chi riceve.

Il fatto che l’educazione incidentale non sia secondaria è dato pure dall’importanza, sempre più crescente, assunta negli ultimi anni dalle soft skills quando, a proposito di relazioni interpersonali, si sono prese sempre più in considerazione le capacità di ascoltare un collega in crisi e di andare incontro alle necessità di un gruppo di lavoratori.

Ed ecco perché andare a scuola serve più che mai: perché la scuola dev’essere un luogo di formazione e pure di benessere, dove coltivare al tempo stesso la propria educazione ma anche la crescita di se stessi, quali individui assieme ad altri compagni. Con i quali relazionarsi ogni giorno o magari scontrarsi sia pur con spirito costruttivo. Con l’esclusione dei dispositivi digitali, se utilizzati “con poca intelligenza” e senza alcuna proficua rielaborazione.

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