Cosimo è diventato padre nel 1910; Andrea, suo nipote, lo è diventato nel 2010, esattamente 100 anni dopo. Il primo è nato pastore, ha imparato a leggere e scrivere in prigionia e ha fatto di tutto perché i suoi undici figli studiassero e diventassero, diceva, migliori di lui. Il secondo è nato quasi a sorpresa dopo otto anni rispetto ai suoi fratelli, ha fatto della scrittura e della parola il suo mestiere. Storie di padri. Storie di figli, il mio nuovo libro appena pubblicato per Paesi Edizioni, è un viaggio attraverso un secolo di paternità; da quando i bambini non si prendevano in braccio perché era una cosa da donnea quando si è imparato a godersi a pieno la gioia di essere un papà.

Qui un estratto:

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2 marzo 2023. Mancano sette giorni al compleanno di mio padre. Il suo ottantaquattresimo compleanno. Un compleanno speciale, il primo senza di lui. Sarà strano non telefonargli alle prime ore del mattino per prenderlo in giro sul passare degli anni, chiamarlo anziano, sentirlo che finge di offendersi e sapere che quello, in realtà, è il nostro codice segreto per dirci l’un l’altro quanto ci amiamo.

L’ho sempre fatto, per trent’anni, da quando sono andato via di casa per inseguire il mio sogno. Sarebbe facile ora cedere alla tristezza e allo sconforto. Pensare alle cose che non abbiamo fatto assieme o a quelle parole che non gli ho mai detto, pur avendole sentite nel cuore un milione di volte. Ma sarebbe una sciocchezza, una cosa che non avrebbe nulla a che fare con lui.

Mio padre è stato un uomo molto più complesso di quanto non apparisse all’esterno o di quanto volesse far credere e questo, questo sì, l’ho capito davvero solo dopo quel disgraziato 22 agosto in cui ci ha lasciato, ad appena tre settimane di distanza da mia madre. Ne sono sicuro, non è un caso. Quei due avevano capito di voler continuare a stare assieme
e, ancora una volta, hanno preso insieme la loro decisione. Raramente mi sono fermato a pensare quanto di mio padre ci sia anche nei miei figli, o in me. Non solo le cose evidenti, come il fatto che sono nati tutti nello stesso mese, ma anche quelle meno palesi. Di certo Marco, il più grande, ha il suo nome e condivide col nonno anche il segno zodiacale, la pacatezza e l’amore per le battute sagaci e inaspettate.

Giovanni, il più piccolo, è forse l’unico che in famiglia ha ereditato da mio padre l’amore per il calcio. Quanto era orgoglioso mio padre, sia pure solo in foto o nei video del cellulare, nel vedere Giovanni muoversi fra i pali della porta con la sicurezza e un coraggio che solo a 12 anni si possono avere. Ma negli occhi di mio figlio, quando lo guardo dritto, vedo chiara la dolcezza di quelli di suo nonno e, nel fondo, la stessa fiammella che bruciava silenziosa e mai ferma, quella della determinazione, dell’irragionevolezza che serve a inseguire un traguardo che tutti dicono irraggiungibile. Una fiammella che spero di aver ereditato anch’io.

Marco e Giovanni, però, sia per la loro età, sia per gli esiti delle mie scelte che ci hanno portato a vivere a migliaia di chilometri da dove sono nato, hanno conosciuto troppo poco di loro nonno. E se non conosci le tue radici, ha detto qualcuno molto saggio tempo fa, è difficile che tu riesca a capire a fondo anche te stesso. In più, aggiungo io, hanno avuto accanto un uomo incredibile che continueranno a portare dentro di sé.

Mentre penso queste cose, sento un click nella porta e, quasi come se li avessi chiamati, Marco e Giovanni tornano a casa da scuola nello stesso momento. Marco, che anche se
ci sono 5 gradi fuori ha sempre caldo – ecco un’altra cosa in comune col nonno – appena entra si leva la giacca e resta in maniche corte. Giovanni, che invece anche se ci sono 25
gradi dorme comunque con la coperta – dovranno pure aver preso qualcosa anche dalla nonna, no? – ha gli occhi fissi sul cellulare dove sta rivedendo, forse per la miliardesima volta, i gol dell’ultima partita di campionato.

“Ciao Pelato”, mi dicono all’unisono. Io, come faceva mio padre, sorrido, mi fermo un attimo a guardarli e poi filo a preparargli il pranzo. Mangiano a quattro palmenti. Poi si mettono davanti alla tv in attesa che arrivi il momento di fare i compiti. Mi siedo accanto a loro e senza pensarci su spengo la tv e il router. Adesso siamo soli, io e loro. C’è una cosa importante che va fatta e va fatta ora. È arrivato il momento di raccontargli di nonno Marco, di mio nonno Cosimo, di me, di loro due. Insomma, di noi.

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Il 10% dei diritti d’autore di questo libro è devoluto alla associazione EleMorez, una onlus creata in memoria di Eleonora, la bimba nata poche ora prima del mio primogenito e nostra compagna di stanza in quei giorni. Purtroppo, cinque anni fa, una brutta malattia del midollo si è portata via Ele, ma Isabella e Matteo (i suoi genitori) hanno creato l’associazione per aiutare tanti altri bambini in tutto il mondo e fare in modo, così, che il sorriso di Eleonora, continui ad essere vivo.

Se volete conoscere i progetti della EleMorez e contribuire a mantenere vivo il ricordo di Eleonora, questo è il sito dell’associazione.