Nonostante le promesse e le dichiarazioni d’intenti, l’Unione europea non è riuscita ad avviare un processo di riforma dei Trattati che permetta di superare, ad esempio, la complicata questione del potere di veto in sede di Consiglio Ue. Ma se sulla capacità di prendere decisioni condivise i 27 Stati membri continuano a spaccarsi, ecco che la prima rivoluzione degli atti costitutivi dell’Ue potrebbe arrivare in nome delle armi. Secondo quanto scrive il Financial Times, dopo gli impegni miliardari per il sostegno a Kiev e la richiesta alla Banca europea per gli investimenti di “adattare le sue politiche di prestito e la sua attuale definizione di beni dual-use”, ovvero i prodotti che possono avere uso sia civile sia militare, adesso Bruxelles sta studiando un modo per aggirare una clausola dei Trattati che vieta gli acquisti di armi attingendo al bilancio pluriennale dell’Unione. Il tutto in nome della volontà esplicitata al termine del primo giorno del Consiglio Ue di marzo di favorire una “preparazione militare-civile rafforzata” alla guerra contro la Russia.

L’ostacolo da superare per chi aspira a finanziare il riarmo europeo attraverso i fondi comuni previsti dal bilancio pluriennale si chiama articolo 41, comma 2 del Trattato sull’Unione europea. In questo articolo si legge che “le spese operative […] sono anch’esse a carico del bilancio dell’Unione, eccetto le spese derivanti da operazioni che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa”. Un’esclusione esplicita, quindi, che sembra richiedere una vera riforma dei Trattati da parte dei Paesi Ue. Riforma che richiederebbe molto tempo, senza alcuna garanzia di successo.

Per evitare questo passaggio, una parte dei Paesi membri sta valutando se sia possibile ricorrere a un’interpretazione giuridica più flessibile, malvista da alcuni Stati, che consenta a Bruxelles di diventare un acquirente diretto di materiali a uso militare prevedendo investimenti ad hoc a bilancio.

Una mossa che sarebbe rivoluzionaria e che, oltre ad aprire la strada a importanti stanziamenti in favore dell’industria bellica europea e internazionale, rappresenterebbe un altro passo nella direzione, che richiede però un impegno e una volontà politica, di una difesa comune europea. Mossa che potrebbe godere della spinta impressa dal contesto geopolitico attuale, con la Russia che sta avanzando in Ucraina e che sta rimpinguando le proprie scorte militari dopo il passaggio a un’economia di guerra e il potenziamento della propria industria bellica che, a oggi, ha capacità produttive di molto superiori a quelle degli alleati che sostengono Kiev, almeno in fatto di munizionamenti.

E proprio questa situazione ha favorito una narrativa molto più esplicita e radicale da parte dei leader europei. Si è passati dalle parole di Ursula von der Leyen secondo cui “la pace non è più scontata“, alla necessità di sostenere l’Ucraina “fino alla vittoria” per evitare, dicono, un attacco russo in territorio Nato. “Se vuoi la pace, prepara la guerra“, ha dichiarato il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, riassumendo il concetto in una massima latina.

Per il momento, l’Ue ha trovato un accordo per fornire aiuti per 5 miliardi all’Ucraina ma al di fuori del bilancio comune. I soldi continueranno infatti ad arrivare dallo European Peace Facility, lo strumento utilizzato finora per il sostegno militare agli uomini di Volodymyr Zelensky, attraverso il nuovo Fondo per l’Assistenza all’Ucraina. Cifre insufficienti, però, a garantire quel salto di qualità auspicato da una larga fetta dei leader europei che invocano la corsa al riarmo, tenendo conto anche del fatto che l’industria della Difesa, per stressare le proprie linee di produzione e riconvertire gli impianti a scopi militari, chiede garanzie d’investimento a medio-lungo termine.

Da qui, la necessità di rendere meno stringenti i Trattati Ue in materia di spesa militare. Se una vera e propria riforma, come detto, appare di difficile realizzazione e, comunque, un obiettivo a lungo termine, gli esperti, che potrebbero essere raggruppati in una “task force legale congiunta“, si chiedono se non sia possibile interpretare l’articolo 41 comma 2 come riferito esclusivamente alle operazioni militari dell’Ue. In tal modo, per fornire armi a Kiev l’uso di fondi previsti dal bilancio comunitario verrebbe accettato.

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