Mettere fine ai pregiudizi e sostenere le concrete potenzialità di ogni persona con sindrome di Down. Sono queste le finalità della nuova campagna internazionale sul tema “Fine degli stereotipi” e che quest’anno è intitolata “Assume That I Can” (in italiano: “Pensa che possa farlo”) lanciata dal Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down (CoorDown) in occasione della Giornata Mondiale sulla sindrome di Down che si celebra il 21 marzo. Gli stereotipi sono dannosi, in particolare colpiscono le persone con sindrome di Down e disabilità intellettiva, e possono impedire loro di essere trattati come tutti gli altri su un piano di eguaglianza, pari diritti e opportunità. Preconcetti e basse aspettative hanno un impatto significativo: sono un confine, spesso invalicabile, che limita il campo d’azione e le opportunità a scuola, a lavoro, nello sport, nella vita sociale e nelle relazioni affettive. “Pensa che possa farlo” nasce in Italia con CoorDown ma vede il contributo di diverse associazioni a livello globale che in contemporanea hanno lanciato il video (racconto cinematografico di 90 secondi). In soli 4 giorni dal lancio, il video pubblicato sui profili social di CoorDown è diventato un fenomeno mondiale raggiungendo la cifra di oltre 100 milioni di visualizzazioni su TikTok, Instagram, X, Linkedin, Youtube e Facebook.

La Giornata è un appuntamento sancito da una risoluzione dell’ONU e nasce per diffondere una maggiore consapevolezza e conoscenza sulla sindrome di Down, per creare una nuova cultura della diversità e per promuovere il rispetto e l’inclusione nella società di tutte le persone con Trisomia 21.

La madre di Marta Sodano, la giovane che ha ispirato la Campagna mondiale: “Manca il supporto alle famiglie” – Contattata dal Fatto.it Laura Simontacchi spiega che le criticità nella vita di tutti i giorni sono di vario tipo, dipendono da dove si vive, l’età della persona, se va ancora a scuola o se è in età lavorativa. “Mancano i servizi che abbiano una visione di insieme della vita e che mettano le persone al centro del progettare” afferma Laura. “Non c’è, soprattutto in provincia, una rete territoriale di collaborazioni e si avverte forte e pressante la necessità di assistenti sociali competenti e in grado di fare da coordinatori delle esigenze della persona in tutti i campi del vivere: scuola, autonomia, lavoro, socialità, sanità”. C’è un tema che le sta più a cuore e che potrebbe essere maggiormente sviluppato? “La legge 328/2000 ha introdotto il progetto di Vita individualizzato: 24 anni dopo questa legge è stata disattesa. In provincia di Bergamo, ad esempio, i progetti di Vita indipendente in corso si possono contare sulle dita di una mano e non si vede progettualità concreta, rispettosa della dignità delle persone, che permetta di creare percorsi sia per il dopo, e se permettete, anche durante noi”, conclude.

Andrea Tudda, 36enne con la sindrome di Down: “Mi piacerebbe andare a convivere con gli amici e avere una vita autonoma” – “Lavoro a Milano nel settore turismo e uso il pc che mi piace molto. Ho diversi hobby, come visitare città, disegnare, fare fotografie, scrivere racconti, poesie e anche canzoni, leggo libri soprattutto fantasy, avventure, commedie ma il pianoforte è la mia passione”. A raccontarlo a ilfattoquotidiano.it è Andrea Tudda, 36 anni. “Quando suono provo tante sensazioni, esprimo le mie capacità comunicative e creative e quando vengono apprezzate sono felice”. Ha frequentato l’istituto Carlo Tenca e avendo avuto un professore di sostegno musicista e direttore d’orchestra ha ampliato la sua capacità e conoscenza della materia. Andrea dice di “aver avuto una bellissima classe con compagni meravigliosi che sento tutt’ ora. Al liceo mi piaceva studiare storia, arte, musica e canto corale. Non ho avuto particolari problemi di pregiudizi ma alla scuola elementare alcuni bambini per dispetto mi rubavano spesso gli occhiali e ciò mi rendeva triste perché essendo miope non posso farne a meno”. Un desiderio? “Mi piacerebbe avere un progetto di Vita indipendente, convivere con alcuni coetanei in un piccolo appartamento tutto nostro per poter avere una vita autonoma e divertente”. Cosa servirebbe per migliorare in generale la qualità di vita? “Sicuramente un lavoro stabile che possa consentirci una certa autonomia. Poi anche un servizio importante per chi a volte ha difficoltà a prendere da solo i mezzi pubblici sarebbe quello di avere a disposizione maggiori agevolazioni sull’uso dei buoni taxi, dove tramite questi ticket posso prendere il taxi quando ne ho bisogno, ad esempio la sera quando fa buio, quando esco da teatro, quando vado a cena fuori”. La tua vita come va? “Sono felice – risponde Andrea -. In amore ho avuto alcune delusioni ma spero di trovare una ragazza con cui possa avere un rapporto che mi completi e magari anche convivere con lei”.

Come nasce la campagna internazionale e cosa manca all’Italia per migliorare la qualità di vita delle persone con sindrome di Down – Gli organizzatori spiegano che l’evento parte da “un’idea suggeritaci da una donna con sindrome di Down che qualche anno fa ha parlato all’Onu durante la Conferenza mondiale sulla sindrome di Down”. Marta Sodano parlò della “profezia autoavverante”, secondo la quale un professore che pensa che uno studente non possa capire si comporterebbe di conseguenza e quindi non insegnerebbe la sua materia all’alunno. “Ecco che la profezia si autoavvera. Ci ha detto che era molto arrabbiata al pensiero di tutte le cose che non gli erano state spiegate e quindi non aveva imparato – dice al Fatto.it la presidentessa di CoorDown Antonella Falugiani -. Le aspettative possono essere un grande condizionamento nella vita di tutti, quindi l’obiettivo è imparare ad usarle in modo positivo e provare a invertire il paradigma: pensa che io possa, così forse io potrò”. Negli ultimi anni il Coordinamento si è concentrato nel dare supporto sul tema della transizione alla vita adulta, nella tutela del diritto a vivere una vita affettiva e sessuale accompagnata da percorsi di formazione e sostegno. “Il passaggio alla vita da adulti è fondamentale per tantissimi giovani, e l’inclusione lavorativa è la vera sfida per garantire una qualità della vita realmente soddisfacente” spiega Falugiani. L’Italia è particolarmente indietro su un tema specifico? “A livello nazionale abbiamo una legislazione avanzata in materia dei diritti delle persone disabili, la reale sfida è quella di trasformare in vera inclusione e in servizi orientati ai reali bisogni delle persone quello che è scritto nelle leggi”. Com’è il vostro rapporto con le istituzioni? “Nell’incontro di febbraio con il ministro per le Disabilità Locatelli abbiamo chiesto che si vada veloci sulla semplificazione amministrativa e normativa che riguarda i procedimenti di riconoscimento della disabilità, ancora oggi di estrema difficoltà per le famiglie. La disparità di trattamento e di servizi che ancora divide l’Italia in tante Italie diverse, fatte di eccellenze da una parte e di assenza delle istituzioni e solitudine dall’altra, è una delle questioni più urgenti da affrontare”.

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