La dolorosa storia di un bambino di 4 anni, che finisce in stato vegetativo dopo aver mangiato del formaggio preparato con latte crudo, e la difficile, faticosa ricerca della verità non ancora conclusa dopo sette anni. Il rinvio a giudizio deciso alcuni giorni fa dal giudice per l’udienza preliminare di Trento, Enrico Borrelli, nei confronti di una pediatra che si sarebbe rifiutata di visitare il piccolo appena arrivato in ospedale perché troppo stanca, ha riaperto una vicenda che per la procura era destinata in un primo momento all’archiviazione. Nell’archivio della memoria non finirà mai, invece, per la famiglia del geometra Giovanni Battista Maestri, che vive in Val di Non e assieme alla moglie Ivana dal 2017 si dedica completamente alla cura del figlio, colpito da Escherichia coli che causò una “sindrome emolitico uremica” (Seu) e danni irreversibili all’organismo.

La loro battaglia legale non è ancora finita ed è combattuta, grazie agli avvocati Paolo Chiariello e Monica Cappello, su due fronti. Da una parte il caseificio sociale di Coredo, inspiegabilmente premiato di recente con il riconoscimento di un marchio di qualità, dall’altro le strutture sanitare che si sono occupate delle prime cure. Se il responsabile del caseificio e il casaro sono stati condannati in primo grado, la pediatra è imputata in attesa di giudizio per aver omesso la visita e per lesioni gravissime.

CINQUE INDAGATI – Il bambino si era sentito subito male dopo aver mangiato il formaggio “Due laghi”. Prima la corsa all’ospedale di Cles, poi il trasferimento a Trento, dove era rimasto alcuni giorni, subendo anche un inutile intervento per una presunta appendicite. Quindi la diagnosi infausta, un nuovo trasferimento a Padova, poi una struttura a Conegliano e il ritorno a casa, dove i genitori hanno rinunciato al lavoro per accudirlo. L’indagine preliminare del sostituto procuratore Maria Colpani aveva portato a iscrivere cinque persone nel registro degli indagati. Innanzitutto Lorenzo Biasi, presidente del Caseificio di Coredo, e il casaro Gianluca Fornasari. Poi un medico dell’ospedale di Cles, quindi la pediatra di Trento che, stando a quanto raccontato dai genitori del paziente, si sarebbe rifiutata di visitarlo, perché stanca dal troppo lavoro al pronto soccorso.

RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE PER TUTTI – Nel 2020 il pm formula una richiesta di archiviazione per tutti, considerando che “le indagini svolte non hanno permesso di acquisire elementi certi di responsabilità”. Il magistrato si è trovata di fronte alla “impossibilità scientifica di identificare il ceppo STEC (escherichia coli produttore della Shiga-Tossina, ndr) del paziente, a causa della terapia antibiotica somministrata al bambino che ha eliminato la possibilità di identificare il ceppo stesso”. Il dottor Umberto Agrimi, dell’Istituto superiore di sanità, in una relazione inviata nel 2018 ai carabinieri del Nas di Trento scrive: “In assenza di isolamento del ceppo STEC, le evidenze sui campioni clinici e sul campione alimentare risultano del tutto insufficienti a garantire il livello di discriminazione necessario per formulare un giudizio circa la correlazione genetica tra il ceppo isolato dal formaggio e quello che ha determinato la malattia clinica del bambino”. Non esiste un nesso di causalità tra il consumo del formaggio e l’insorgenza della malattia. Inoltre, ha avuto “esito negativo” anche una consulenza tecnica affidata al medico legale veronese Federica Bortolotti per individuare “eventuali omissioni colpose del personale medico che per primo ebbe cura del piccolo”.

I GENITORI NON SI ARRENDONO – I genitori, costituiti parte civile, però non demordono. Portano nuove perizie, tra cui una consulenza della professoressa Silvia Bonardi di Parma a sostegno della correlazione tra formaggio e Seu. Davanti al gip, il pm Colpani capisce che le prove aprono una prospettiva inedita e ritira (fatto piuttosto inconsueto) la richiesta di archiviazione, ordinando una nuova perizia, affidata al professor Gianluigi Ardissino del Policlinico di Milano. La conclusione è che vi sono solo sei possibilità su un milione che si sia trattato di coincidenza e che non sia stato lo stesso ceppo STEC a causare la sindrome. Per questo il pm chiede nel 2022 il rinvio a giudizio del titolare del caseificio e del casaro. Ribadisce, invece, la richiesta di archiviazione per i tre medici. Una nuova consulenza ha escluso responsabilità dei sanitari, perché “i primi sintomi della patologia di sindrome emolitico uremica sono emersi quale complicanza della gastroenterite durante il ricovero presso l’ospedale di Santa Chiara e solo dall’8 giugno 2017”, ovvero tre giorni dopo il ricovero a Trento. Viene scagionato il medico di Cles, mentre eventuali ritardi nella diagnosi andrebbero eventualmente addebitati ai medici di Trento, ma questi ultimi non appena si sono accorti della “presenza di emoglobinuria e piastrinopenia” hanno fatto trasferire il piccolo a Padova. Quindi la diagnosi era stata tempestiva, ma il danno era ormai fatto.

IL DINIEGO DELLA PEDIATRA – Nel 2022 il pm si occupa anche del capitolo che ha portato ora al rinvio a giudizio della pediatra del pronto soccorso di Trento per presunto rifiuto di visitare il piccolo (il primo giorno di ricovero). I genitori avevano riferito della risposta negativa data dal medico (stanca per il troppo lavoro) a una collega che chiedeva una consulenza pediatrica. Il pm sostiene che “le ragioni di urgenza della richiesta di consulenza specialistica rivolta alla dottoressa non paiono essere state evidenziate dalla collega che accompagnava la richiesta di consulenza”. Per questo il magistrato “esclude che vi sia stata omissione di atti d’ufficio in capo alla dottoressa… la quale si sottrasse alla visita specialistica, senza che vi sia prova che il rifiuto fosse accompagnato da una esplicazione chiara delle ragioni di urgenza di detta visita”. Però il medico “avrebbe dovuto prima effettuare un breve accertamento sulle ragioni della richiesta per valutare l’esistenza della situazione di urgenza o di emergenza”. In ogni caso, per il pm non ci sarebbe un rilievo penale, perché “tale omissione appare riconducibile a negligenza o imprudenza più che ad una volontà diretta ad omettere l’atto richiesto tenuto conto che anche la collega latrice della richiesta non pare abbia insistito particolarmente per ottenere la prestazione”.

CONDANNATI I CASARI – Nel 2022 l’unica conseguenza è stata la prosecuzione, in un procedimento parallelo, dell’accusa di lesioni colpose gravissime a carico degli indagati Biasio e Fornasari, essendo emersi elementi a sostegno della correlazione tra l’assunzione del formaggio e la malattia. Quel filone si è concluso lo scorso dicembre davanti al giudice di pace, quando i due sono stati condannati a 2.500 euro perché ritenuti responsabili di aver causato lo “stato vegetativo insanabile” in un bambino di 4 anni. Una pena irrisoria, seppure il massimo di quella prevista.

PEDIATRA A GIUDIZIO – Mentre le condizioni del piccolo si aggravano ogni giorno che passa, si è arrivati al colpo di scena dell’ultima udienza davanti al gup. Gli avvocati di parte civile hanno ottenuto il rinvio a giudizio della pediatra spiegando che la mancata visita del bambino, il primo giorno di ricovero a Trento, non può essere spiegata come una semplice negligenza dovuta alla stanchezza, ma si configurerebbe come un rifiuto d’atti d’ufficio. In secondo luogo, proprio la diversità di conclusione dei periti sul fatto che un ritardo diagnostico di tre giorni possa aver aggravato le condizioni di salute del piccolo paziente, impone un procedimento anche per lesioni personali gravissime.

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