di Gianluca Pinto

Tutti ci godiamo, nelle aree ricreative padronali quali i talk e i vari programmi di approfondimento, i mirabili ragionamenti improntati al pragmatismo e regolati da una logica tutta da ammirare, che si semplifica in nome del ‘dillo in un tweet’, venendo così gioiosamente incontro proprio a chiunque.

Chiari sono i capisaldi, i canovacci, di questo stile mai monotono o ripetitivo e sempre pronto ad afferrare con arguzia e profondità le contraddizioni sociali, per fornire qualche divertente racconto o qualche esilarante massima, in un mirabile insieme satirico dai toni talvolta boccacceschi. Si tratta di stilemi in nome del tutto che si fa nulla, in una girandola di emozionanti spunti impregnati di umorismo crasso.

Emergono fantasiosi e improbabili raggruppamenti e accoppiamenti di termini accuratamente scelti a caso come ‘Famiglie e Imprese’, che potrebbe essere equivalente a “Moglie e Buoi” oppure a ‘Stanlio e Ollio’ e che giocano con humor sull’ambiguità della lingua. Si parla di famiglie ‘ma anche’ di imprese oppure sono famiglie ‘ma anche’ imprese, quindi si parla di imprese di famiglia?

Spuntano altresì riflessioni sulla ciclicità della storia, dove i corsi e ricorsi sono elegantemente stilizzati e con buonumore in una girandola di buffi equivoci sempre attuale.
È il caso sempreverde dell’incredibile, eterna, costante novità assoluta della ricerca del ‘Grande Centro’ e parimenti del ‘Blocco Riformista’.

Il Grande Centro è il tipico esempio del mito che narra la realtà, che trae con sé leggende come l’Agenda Draghi ed enigmi inerenti al simbolismo insito nel racconto. La questione del Grande Centro, che, come il Santo Graal, a tutt’oggi non è ancora stato trovato, nasce fondamentalmente da un problema pratico di geometria analitica. Il centro di un cerchio è, geometricamente parlando, un punto, ossia materialmente nulla. Questa spiega in realtà molto chiaramente perché chiunque parta alla ricerca del centro – in quella illuminata e volonterosa ricerca costante del nulla, che impegna le menti dei portavoce padronali tanto da non dormirci la notte – e pensi di averlo trovato, scompaia progressivamente nell’infinitamente piccolo fino al ‘granello’ usato come forma visiva del centro.

A questo si collega la ricerca dell’altrettanto leggendario e intellettualmente inafferrabile ‘Blocco Riformista’. Qui la questione, tuttavia, non è geometrica, ma linguistica, ossia si trova nella descrizione dell’essere. Il tutto infatti, si connette alla tecnica del ‘Risparmio Semantico’, molto in voga, che si basa sulla regola della sintesi della semplificazione nel nome del ‘dillo in un tweet’. Una delle radici di tale forma di pensiero elementare si può trovare nel celeberrimo ‘ma anche’, che serve a confutare il principio di contraddizione risolvendolo definitivamente. Per dirla in breve, se il principio di contraddizione sostiene che ‘piove O non piove’, il principio del ‘ma anche’ risolve questa contraddizione e la annulla perché si passa al ‘piove E non piove’ che è il principio di negazione della contraddizione.

Alla luce di tale mirabile regola logica, arricchita della sintesi della semplificazione, infatti, la parola ‘riforma’ diviene semplice sinonimo di ‘cambiamento’, che sia una ‘riforma’ o che sia una ‘controriforma’: tutto si chiama ‘riforma’ dentro la pratica esteticamente elegante del ‘bisogna fare i fatti’. Considerato, dunque, che la parola riforma contiene anche il riferimento alla controriforma, il Blocco Riformista è definibile come ‘tutto’ – quindi nulla – in quanto può agilmente, quando gli gira, essere anche un blocco reazionario.

Devo dire che alle volte sembra incredibile la quantità di tempo perso a parlare di niente.

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