L’improvvido accenno papale alla “bandiera bianca” rischia certamente di danneggiare la strategia di pace per l’Ucraina costruita con tenacia da Francesco in questi due anni. E non migliora di sicuro la comunicazione tra Vaticano e Kyiv. E dire che il 2023 si era chiuso con un solenne decreto del presidente Zelensky che concedeva l’onorificenza dell’Ordine al merito ai cardinali Parolin, segretario di Stato, e Zuppi presidente della conferenza episcopale italiana per il “significativo contributo al rafforzamento della cooperazione intestatale (e) al sostegno della sovranità statale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina”.

Le parole hanno un peso. Se chi le pronuncia è al vertice della Chiesa cattolica, una comunità di un miliardo e trecento milioni di persone, il peso è ancora maggiore. E’ vero che in questo caso l’imbeccato è venuto dall’intervistatore della televisione svizzera. Ma non è una scusante. Il pontificato di Benedetto XVI è stato rovinato da parole sbagliate: verso i musulmani, sulla protezione del preservativo nel contrasto all’Aids, sull’avvento del nazismo visto come presa di potere di una limitata banda di criminali.

Negli ambienti diplomatici la frase viene catalogata come imbarazzante. E toccherà a Francesco trovare il modo di riportare il discorso su binari comprensibili. Non si può dimenticare infatti che il bilancio tragico di vittime e le enormi distruzioni in terra ucraina sono state causate dall’invasione russa e che Kyiv ha tutto il diritto di difendersi. Senza dimenticare che l’isteria degli avversari di un processo di pace ha proprio coniato il facile slogan di “partito della resa”, appiccicato a quanti si adoperano per chiudere il conflitto. Senza dimenticare che ci sono frange conservatrici del mondo cattolico che sostengono lo scontro con la Russia e ci sono frange del mondo riformista cattolico che considerano Putin un nuovo Hitler e quindi sono a favore di una guerra ad oltranza.

Francesco deve tenerne conto per allargare il fronte di chi vuole la pace ed evitare di restringerlo. Così come ricordare le responsabilità di Mosca non significa diminuire le chances per la pace. I discorsi franchi al tavolo delle trattative semmai favoriscono l’accordo.

Nel coro dei commenti internazionali c’è tuttavia da notare un aspetto. A differenza di altre occasioni, da parte ucraina non sono venuti attacchi violenti al pontefice. Disapprovazione sì, insulti no. Il ministro degli Esteri Kuleba ha invitato il Papa a sostenere le “giuste ragioni” di chi è vittima senza appoggiare l’aggressore. Il presidente Zelensky ha ricordato che la Chiesa in Ucraina sta al fronte con i suoi cappellani e non pretende di mediare astrattamente, a 2500 chilometri di distanza, “tra qualcuno che vuole vivere e qualcuno che vuole distruggerti”.

L’ambasciata d’Ucraina presso la Santa Sede ha sottolineato in un comunicato che al tempo della II Guerra mondiale nessuno pensò di negoziare con Hitler. Soltanto un’associazione di ucraini in Italia ha preso di petto duramente il pontefice, definendo le sue affermazioni “sconvolgenti, imbarazzanti e profondamente offensive”. Ma non è un attacco che viene da esponenti governativi. Queste sfumature negli atteggiamenti riflettono la consapevolezza che la situazione internazionale sta cambiando e che il Vaticano – come già Giovanni Paolo II quando si oppose frontalmente alla guerra americana in Iraq – è attestato sul versante della razionalità geopolitica.

Lo schema vaticano, oggi in contrasto totale con le posizioni del presidente Macron (Francia), Annalena Baerbock (ministra degli Esteri Germania), Polonia, Gran Bretagna e Stati baltici, si riassume in pochi punti sui quali c’è un ampio consenso sulla scena internazionale esterna all’area Nato.

1. La guerra era evitabile. Così come gli Stati Uniti non permetterebbero mai che il Messico facesse parte di un’alleanza militare con la Cina, così era ed è possibile trovare un accordo sulla neutralità dell’Ucraina, garantendo il non-ingresso nella Nato.
2. C’era e c’è tutta la possibilità di trovare una soluzione per la Crimea (che non ha mai fatto parte dell’Ucraina né per lingua né per etnia né per tradizione) e per il Donbass popolato da russi (ricetta tipo Alto Adige).
3. E’ praticabile la costituzione di un Fondo internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina con una decisiva contribuzione da parte di Mosca.

In questo senso la spinta di Francesco perché si cominci a “parlare della necessità di parlare” (secondo la brillante definizione di un articolo apparso sulla prestigiosa rivista statunitense Foreign Affairs) si collega allo stato d’animo di una larga parte dell’opinione pubblica e del mondo imprenditoriale europeo e statunitense, che ritiene senza senso dissanguarsi economicamente in una guerra di attrito o gettarsi a capofitto in operazioni a rischio di conflitto nucleare da “Dottor Stranamore”.

Francesco guarda lontano, anche se i suoi sostenitori in Vaticano sognano che a volte tenga a freno la lingua.

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