Fuoco amico su Ursula von der Leyen. Dopo appena tre giorni dalla sua ricandidatura ufficiale come Spitzenkandidat, candidato di punta, del Partito Popolare Europeo, la presidente uscente della Commissione Ue è già oggetto di attacchi sia da parte di alcune componenti dello stesso Ppe sia, soprattutto, dell’ala macroniana dei liberali di Renew Europe. Così, mentre lei continua a ripetere di non volersi mettere al tavolo con la destra nazionalista per formare una maggioranza all’Europarlamento, da sinistra piovono accuse. Il presidente dei Popolari, Manfred Weber, la sostiene in pubblico pur sapendo che, nel caso in cui la sua candidatura salti, sarebbe lui in lizza per sostituirla. E chi punta su di lei come cavallo vincente, ad esempio Giorgia Meloni, rischia di perdere la sua scommessa.

Il fuoco amico: attacchi dal Ppe
Se l’intenzione di Manfred Weber era quella di presentare una ricandidatura forte di von der Leyen, non si spiega la sua scelta di votarla, tra l’altro in assenza di altri nomi, con scrutinio segreto. Un voto per acclamazione avrebbe portato al medesimo risultato: ricandidatura dell’ex ministra tedesca come riconoscimento per il lavoro svolto negli ultimi cinque anni senza una conta dei voti. Non è stato così: a esprimere una preferenza al congresso di Bucarest sono stati solo 499 delegati, sugli 801 presenti, dei quali 489 validi. Di questi 400 sono stati i voti favorevoli a von der Leyen e 89 i contrari. E così è emersa inevitabile la spaccatura interna sulla sua figura, trasformando la capa di palazzo Berlaymont da leader europea a esponente scomoda, divisiva e quindi debole.

Il voto è stata la scintilla che ha acceso l’incendio che la leader tedesca rischia di non riuscire a domare. Un incendio divampato da dentro la famiglia popolare. La senatrice di Forza Italia e vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli, rappresentate dell’ala più conservatrice del partito che guarda con favore a un’alleanza con le destre europee, compresa la Lega, è uscita allo scoperto definendo la candidatura di von der Leyen poco coraggiosa: “Si è votato il candidato alla presidenza della Commissione europea. Il Partito Popolare Europeo sceglie di confermare il nome di Ursula Von Der Leyen. Forse si poteva osare di più e imboccare una strada più coraggiosa, magari con un candidato che avesse una sensibilità maggiore ai problemi del Mediterraneo. Negli ultimi anni la Commissione non sempre è riuscita a muoversi con coerenza”. Come lei, critici anche i Repubblicani francesi che in una lettera a Weber sostengono che la presidente uscente “incarna la deriva tecnocratica dell’Ue ed è la candidata di Macron“.

D’altra parte che l’era von der Leyen sia finita nei fatti lo dimostra anche il programma approvato dal Ppe. Non ricandidare l’ex ministra tedesca avrebbe creato troppo scalpore, sarebbe stato usato dagli avversari per parlare di bocciatura degli ultimi cinque anni al Berlaymont, ma il testo programmatico partorito rinnega in parte o totalmente le principali riforme auspicate, e in realtà mai attuate, all’inizio del mandato ancora in corso. Una su tutte il Green Deal europeo. Così, anche se non formale, la sfiducia è arrivata sui punti del prossimo programma.

I liberali macroniani all’assalto di Ursula
Nella mente di von der Leyen, i prossimi cinque anni di mandato dovrebbero ricominciare con la stessa maggioranza con cui si sta chiudendo la sua prima esperienza al Berlaymont. Una nuova “maggioranza Ursula” con Renew e Socialisti per mantenere alla guida dell’Europa i partiti europeisti, lasciando fuori le destre che preoccupano in diversi Stati membri, Francia e Germania in primis, aprendo la strada, proprio in funzione anti-nazionalista, a un rimpasto di governo tedesco che ricrei la Große Koalition Spd-Cdu per tentare di arginare l’avanzata di Alternative für Deutschland.

Non sono questi i piani, però, di una parte importante di Renew Europe, che dovrebbe far parte di questa maggioranza in Europa. Il partito è sempre più frammentato e dilaniato da lotte di potere interne, mentre i consensi vanno a picco. Così le formazioni più vicine a Emmanuel Macron, che non godono più di un rapporto idilliaco con von der Leyen, si sono impegnate in un tiro al bersaglio contro la presidente uscente. Il calcolo è uno solo: se la tedesca ha maggiori affinità con altri partiti liberali, meglio farla cadere. Chiunque la sostituirà, anche una figura più conservatrice, potrebbe rivelarsi comunque un alleato. Sicuramente dovrà avviare almeno un’interlocuzione.

La voce che ha fatto più rumore è certamente quella del commissario francese per il Mercato Unico, Thierry Breton: “Nonostante le sue qualità, Ursula von der Leyen è stata messa in minoranza dal suo stesso partito. La vera domanda ora è se è possibile (ri)affidare la gestione dell’Europa al Ppe per altri 5 anni, o 25 anni consecutivi. Lo stesso Ppe non sembra credere nella sua candidata”. Parole non casuali, quelle del politico molto vicino a Macron, che fanno trasparire una strategia multipla: c’è la volontà, come detto, di andare a contrattare con un altro candidato; c’è la speranza, in caso di caos da candidature, di essere egli stesso un papabile per la poltrona più importante del Berlaymont; e c’è l’idea del partito di convincere, già a livello europeo ma con prospettiva interna, una parte dei socialisti francesi a costruire un’alleanza per contrastare l’avanzata di Marine Le Pen.

Le sue parole non sono piaciute al segretario generale del Ppe, Thanasis Bakolas, che ha ricordato la crisi di voti che attanaglia la formazione europea: “Grazie, commissario Breton, per il suo interesse nei confronti del Ppe e della nostra candidata di punta – ha detto – So che i liberali sono in ansia per le prossime elezioni europee. Non hanno lungimiranza, messaggio e rilevanza. E so che le cose sono particolarmente difficili in Francia per Renaissance, schiacciato dagli estremi che hanno aiutato a far crescere indebolendo il tradizionale centrosinistra e centrodestra”.

Ma Breton non è l’unico tra i liberali ad aver mirato alla figura di von der Leyen. L’ultimo in ordine di tempo è Matteo Renzi, anche lui storicamente vicino a Macron, che dal palco della Leopolda attacca: “Possiamo dare un giudizio su Ursula von der Leyen? Dobbiamo darlo. Le riforme istituzionali non sono arrivate, strizza l’occhio a Orbán e ai conservatori, nella risposta ai conflitti benissimo su Twitter, ma la politica non è un social; la difesa comune europea oggi non è all’ordine del giorno se non a parole. Dov’è il ruolo e la visione dell’ex ministro della Difesa von der Leyen? È sul Green Deal che si vede il fallimento di Ursula von der Leyen. A mio giudizio non deve essere confermata e se sarò eletto proporrò di votare contro perché serve una leader e non una follower dell’ideologia“.

La vicinanza a Viktor Orbán la vede però solo Renzi. La presidente di Commissione non si è mai schierata, come fatto invece da Weber o da Antonio Tajani, in difesa del primo ministro ungherese nel tentativo di evitarne l’espulsione dal Ppe. Inoltre, nelle ore precedenti all’intervento di Renzi è stato lo stesso Orbán, proprio come il leader di Italia Viva, a criticarne la ricandidatura: “Gli ultimi cinque anni – ha detto – sono stati un fallimento colossale nella storia dell’Unione europea. Tutti i leader dell’Ue che hanno avuto un ruolo in questo devono essere sostituiti”.

Tornando ai liberali, l’attacco a von der Leyen arriva anche dal ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner: “L’Europa ha bisogno di meno von der Leyen e di più libertà – ha dichiarato – Come presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen è a favore della burocrazia, delle imposizioni e dei divieti tecnologici. Ci vuole forza per correggere iniziative come il divieto dei motori a combustione. È sconcertante che la Cdu e la Csu supportino questo”. Parole da leggere anche in chiave interna, dato che un eventuale rimpasto di governo post-elezioni europee, o a inizio 2025, potrebbe escludere proprio i liberali dalla prossima maggioranza.

Von der Leyen candidata debole. Meloni ha puntato sul cavallo sbagliato?
In questo scenario, la candidatura della presidente della Commissione appare estremamente debole. Malvista dalle destre come presidente di un’Europa più conservatrice e attaccata da una parte importante di Renew, formazione fondamentale per costruire qualsiasi tipo di maggioranza in Europa, il suo nome potrebbe essere affossato già nelle ore immediatamente successive al voto. Su chi si virerà è ancora presto per dirlo: sicuramente spera di sostituirla Manfred Weber, che guarda più a una coalizione a destra che con i Socialisti, ma un pensierino, a quanto pare, sembra farlo anche Breton, nonostante le possibilità che i liberali riescano a strappare la presidenza della Commissione siano quasi nulle. Di sicuro c’è che, in caso di addio all’obiettivo della rielezione, la tedesca potrebbe puntare al ruolo di segretario generale della Nato, carica che apprezzerebbe maggiormente e che si rinnoverà a ottobre. A mani vuote rimarrebbe chi nella capa di palazzo Berlaymont ha scommesso, come ad esempio Giorgia Meloni. Gli appuntamenti condivisi sono stati molti da quando è nato il nuovo governo italiano e tra le due il feeling è cresciuto col tempo. Tanto che il 17 marzo andranno (di nuovo) insieme al Cairo per un vertice con il presidente Abdel Fattah al-Sisi. Von der Leyen è però una candidata sempre più debole ogni giorno che passa e la presidente del Consiglio dovrà decidere fino a quando rimanere a bordo di una barca che sembra affondare sempre di più. Il rischio è quello di essere tirati a fondo e rimanere senza cariche importanti in Europa per i prossimi cinque anni.

Twitter: @GianniRosini

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