Il Partito popolare europeo ha boicottato ciò che aveva costruito. È scritto tra le righe del nuovo programma, che è lo specchio delle due anime del partito e smentisce le sfide lanciate cinque anni fa. Il Ppe ha ostacolato il regolamento sul Ripristino della natura, ha contribuito a disegnare una Pac che non spiacesse all’agrobusiness e, con lo stesso obiettivo, ha depotenziato la direttiva sulle emissioni industriali e si è spaccato su quella che riguarda la qualità dell’aria. In caso di vittoria delle elezioni, poi, ha promesso un dietrofront sullo stop alla vendita di nuove auto a benzina e diesel nel 2035. Tra le righe del documento programmatico del Partito popolare europeo, ‘La nostra Europa, una casa sicura e buona per le persone’, ci sono gli attriti e gli sgambetti degli ultimi anni. I discorsi passati alla storia della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (candidata per il secondo mandato per il partito con il gruppo parlamentare più numeroso) e i suoi annunci su Green Deal, target climatici e Strategie europee, non hanno potuto nascondere una spaccatura profonda tra due anime.

Il Ppe è andato avanti così, mostrando a seconda delle esigenze quella che più avrebbe catturato consensi o semplicemente più vicina a questa o quella lobby. E mettendo più volte in crisi la cosiddetta ‘maggioranza Ursula’, formata da Ppe, Socialisti e Democratici e i liberali di Renew, la stessa che aveva votato nel 2019 la fiducia alla presidente. Il documento appena presentato è frutto dell’affermazione dell’anima più vicina a destra, conservatori e lobby, quella rappresentata dal presidente del partito, Manfred Weber, anche lui tedesco. Lo mostrano alcuni passaggi: “Non abbiamo bisogno di un’Europa proibitiva. L’Europa non deve deindustrializzarsi. Otterremo le migliori soluzioni solo se utilizzeremo tutte le possibilità tecnologiche senza alcun pregiudizio o ideologia”.

Dallo “sbarco dell’uomo sulla luna” ai primi attriti – Un registro diverso da quello utilizzato l’11 dicembre 2019, quando Ursula von der Leyen ha presentato il Green Deal. “Il nostro obiettivo è riconciliare l’economia, il modo in cui produciamo, con il nostro pianeta. Sono convinta – diceva la presidente tedesca della Commissione Ue – che il vecchio modello di crescita basato su combustibili fossili e inquinamento sia fuori dal tempo e dal mondo”. Pochi mesi dopo, a maggio 2020, a Bruxelles è stata presentata la strategia Farm to Fork per dimezzare entro il 2030 l’uso dei pesticidi e ridurre del 20% quello dei fertilizzanti. Tra le critiche, quelle del presidente della Commissione agricoltura, Norbert Lins, tedesco del Ppe, ma anche dell’europarlamentare sudtirolese Herbert Dorfmann, coordinatore del partito. “La Commissione Ue sbaglia ad accelerare sulla strategia Farm to Fork”, è stato il commento. Dopo l’estate, una nuova polemica dovuta alla pubblicazione avvenuta ad agosto di un discusso studio nel quale il Centro comune di ricerca (JRC) dell’Ue ha analizzato l’impatto di quattro obiettivi delle strategie Farm to Fork e Biodiversità, ma che lo stesso JRC definiva parziale, perché non approfondiva diversi aspetti. È stata comunque bufera, animata anche dal Ppe. Il programma del partito arriva dopo anni di dietrofront, attriti, ostacoli. Weber ha passato più tempo a demolire il patto verde Ue che a contribuire al suo sviluppo e ha persino provato una possibile virata a destra per le elezioni (per poi tornare sui suoi passi). In nome del consenso, però, la stessa von der Leyen è dovuta più volte tornate sui suoi passi. Lo ha fatto anche recentemente, per limitare gli impatti della protesta dei trattori sulle elezioni.

Cosa ha fatto il Ppe. A iniziare dalla Pac – “Quattro anni fa abbiamo fissato una prospettiva a lungo termine con la legge sul clima e l’obiettivo del 2050 (raggiungere la neutralità climatica, ndr) e abbiamo trasformato l’agenda climatica in un’agenda economica”, scrive il Ppe oggi. E allora c’è da fare un bilancio sulle posizioni del partito rispetto alle misure strategiche del Green Deal. Novembre 2020: il Parlamento europeo doveva votare la proposta della Commissione Ue sulla nuova Pac. La pietra tombale su misure più coerenti con il Green Deal è stata un maxi emendamento, frutto di un accordo tra vertici del Ppe, del gruppo Socialisti e Democratici e di Renew, per respingere tutte le principali proposte della Commissione Ambiente, come quella di tagliare i sussidi agli allevamenti intensivi o aumentare i finanziamenti per le misure ambientali. È finita a novembre 2021, quando il Parlamento Ue ha dato l’ufficialità a una Pac slegata dal Green Deal, che finanzia soprattutto le grandi aziende dell’agroindustria e gli allevamenti intensivi (i più inquinanti) e che su questa base impegnerà il 32% del bilancio comunitario con 386 miliardi di euro dal 2023 al 2027. Il resto lo stanno facendo politici e lobby, strumentalizzando la protesta dei trattori.

“Maggioranza Ursula” spaccata sulle auto a combustione interna – Pochi mesi prima del via libera finale alla Pac, a luglio 2021 la Commissione Ue ha varato il pacchetto ‘Fit for 55’ per ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, con la proposta di vietare la vendita di automobili nuove a combustione interna a partire dal 2035. Un anno dopo, a giugno 2022, il Parlamento ha votato la sua posizione su diversi dei 12 provvedimenti del pacchetto, in vista del negoziato. E su alcuni di questi, la ‘maggioranza Ursula’ è andata in frantumi. Sulla riforma del mercato dei permessi di emissione di CO2, infatti, con l’appoggio dei Conservatori e riformisti di Ecr e del gruppo di estrema destra Identità e Democrazia, il Ppe ha proposto di rinviare al 2034 l’eliminazione dei permessi di emissione gratuiti distribuiti all’industria ad alto consumo di energia. L’emendamento è passato, il testo finale no, ma quella proposta ha aperto la strada al compromesso al ribasso arrivato a dicembre 2022: quote gratis fino al 2032. Su un altro fronte, quello della riduzione delle emissioni di CO2 delle auto e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, non è stato approvato un altro emendamento del Ppe, che permetteva alle industrie automobilistiche di ridurre le emissioni di CO2 del 90% entro il 2035, anziché del 100%. Il documento del Ppe lascia aperta ogni possibilità, di certo non chiarisce quali siano le intenzioni e non fa dimenticare la promessa fatta lo scorso settembre da Weber: in caso di vittoria alle elezioni, un dietrofront sul divieto alla vendita nel 2035.

Emissioni industriali, ripristino natura e qualità dell’aria – Ma il 2022 è stato anche l’anno di una serie di banchi di prova. Ad aprile, la Commissione Ue ha proposto di rivedere la direttiva sulle emissioni industriali, includendo per la prima volta gli allevamenti intensivi di bovini tra gli impianti che devono ottenere specifiche autorizzazioni e rispettare limiti precisi sulle emissioni. A giugno è stata la volta del regolamento sul Ripristino della natura e, a ottobre, Bruxelles ha proposto la revisione della direttiva sulla qualità dell’aria. Solo che nell’iter per la direttiva sulle emissioni industriali, a maggio 2023, in Commissione ambiente del Parlamento, il Ppe ha proposto di escludere gli allevamenti di bovini. L’emendamento è stato rigettato, ma a luglio 2023, l’Europarlamento ha votato per l’esclusione, facendo un regalo alle lobby. Un accordo provvisorio tra Parlamento Ue e Consiglio ha confermato la decisione, almeno fino al 2026, quando saranno disponibili nuovi dati. Anche in questo caso, però, le proteste degli ultimi mesi potrebbero far ulteriormente abbassare l’ambizione della misura.

Il regolamento sul Ripristino della Natura, invece, è stato votato dall’Europarlamento a febbraio 2024 e ora passerà al Consiglio. Il Ppe ha più volte cercato di arrivare allo stallo di un testo già indebolito, sostenendo che avrebbe minacciato i mezzi di sussistenza degli agricoltori e diminuito la produzione alimentare. A Strasburgo, alla fine, hanno votato contro i gruppi Id (di cui fa parte la Lega), Ecr (di cui fa parte FdI), circa metà di Renew Europe e gran parte del Ppe, che si è spaccato (a favore 25 eurodeputati su 177). “Siamo ancora convinti che la legge sul ripristino della natura sia stata redatta male” ha dichiarato Weber. Per la direttiva sulla qualità dell’aria, invece, l’Eurocamera ha dato il via libera a limiti più stringenti a settembre 2023. Fallito il boicottaggio dei gruppi di destra, che avevano votato in blocco contro la normativa, si è consumata l’ennesima spaccatura del Ppe (53 voti favorevoli, 90 contrari e 20 astenuti) nel giorno in cui Weber (che si è espresso a sfavore) aveva rivendicato il contributo del Ppe a “32 file su 34 del Green Deal”, rilanciando la maggioranza Ursula in vista del voto. L’ultimo atto a novembre 2023: il Consiglio Ue ha proposto deroghe che consentirebbero agli Stati membri di ritardare il raggiungimento dei limiti al 2040.

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