Nella storia di N.R., che chiameremo Clara come la fondatrice della Giornata internazionale della donna, accadono molte cose in poco tempo. Ma la ragione per raccontarla sta in quello che non succede, ed è per questo che riguarda tutti. Perché a rischio di povertà o esclusione sociale sono un quarto degli italiani, e le donne restano le più esposte perché meno pagate e meno tutelate nel mercato del lavoro. Una realtà tanto estesa che è difficile definirne i contorni. La storia che Clara ha deciso di condividere la illumina, per una volta, di una quotidianità fragile, ma ordinaria e fin troppo riconoscibile. Tanto da indurre a chiedere se non sia la nostra o non lo possa diventare, senza nemmeno il tempo di accorgersene. Perché poi, insegnerà Clara, per una donna cambia tutto e s’impara a proprie spese quanto siano larghe le maglie della cosiddetta rete sociale.

Bisogna tornare indietro di qualche anno, nel 2021. L’Italia ha appena imparato cosa siano i lockdown, a fare la fila, mettere la mascherina. Buona parte del Paese va a rilento, a volte si ferma del tutto. Clara ha 54 anni, da 30 si occupa di comunicazione in ambito culturale e artistico. Ha un compagno col quale convive e un figlio adolescente. Abitano insieme a Milano, in un quartiere popoloso, multietnico e popolare, salvo per gli affitti. Poi, come altre 55mila donne quell’anno, scopre di avere un cancro al seno. “La pandemia aveva rallentato screening e diagnosi, un bel problema per chi scopriva di avere un tumore”, ricorda. La terapia, il lavoro che si interrompe e poi ancora il suo compagno. Le cose non vanno e le strade si dividono. Non prima della proposta di prolungare la convivenza, per farcela con le spese. Nulla di più realistico in un Paese dove 4 donne su 10 dipendono economicamente dal marito, ipotecando la propria libertà. “Quante ne conosco che continuano a convivere dopo che è finita, perché alle donne tocca anche questo. Ma non fa per me”, spiega Clara, confessando di non aver mai smesso di credere che tutto si sarebbe risolto.

Con le entrate azzerate dalla malattia, un figlio di 15 anni e l’affitto da 600 euro (più spese) interamente a suo carico, nel 2022 è in regola per ricevere il Reddito di cittadinanza. Quanto basta a fare la spesa e a non dover cercare un’altra sistemazione. “Anche per cambiare casa servono soldi, e poi senza un contratto stabile chi mai te lo affitta un appartamento a Milano?”. Le case popolari? Certo che ha fatto domanda. Nella capitale economica d’Italia ci sarà pure un posto per una madre sola, malata, precaria e attualmente senza reddito. O no? “Mi hanno mostrato una pila di fogli, un elenco infinito di persone con un punteggio più alto del nostro. Erano almeno diecimila”, racconta. Nel suo quartiere, di case popolari ce ne sono ancora. Una specie in via di liquidazione a Milano, che ormai si sta vendendo pure quelle, inclinando un po’ di più il piano inclinato sul quale vivono anche Clara e suo figlio. L’incidenza della povertà assoluta è del 21,2 per cento per coloro che vivono in affitto, contro il 4,8% di quelli che vivono in case di proprietà. Tutti valori in crescita, come il costo della vita.

I farmaci le causano dolori e stanchezza. Ma Clara ha bisogno di lavorare e non può aspettare la fine di una terapia che dura 5 anni. “Ne ho ancora due davanti”, racconta oggi al Fatto.it. “Ho deciso di passare a mezzo dosaggio per limitare gli effetti collaterali e riprendermi il lavoro”. I medici cos’hanno detto? “Lasciamo perdere, non è che avessi altra scelta”. E infatti si rivolge anche al Centro per l’impiego che la segue quale beneficiaria del Reddito di cittadinanza. Ma inutilmente, di offerte per lei non ce ne sono. “Diciamo che non appartengo all’utenza tipica dei Cpi”. Cioè? “Per i lavori intellettuali non c’è nulla, mentre per altre mansioni che avrei accettato vogliono i 25enni”. E la formazione? Ti insegnano a usare il computer o l’inglese elementare, ma se chiedi se c’è un corso di business english sgranano gli occhi”. Intanto, passata la pandemia, riprendono le collaborazioni. Solo alla fine dell’anno scorso scopre che può chiedere l’invalidità, che le viene certificata al 70 per cento. Non che questo cambi le cose, che al contrario peggiorano. Nel 2024 fa domanda per il nuovo Reddito, l’Assegno di inclusione del governo Meloni. Presentata la documentazione, ora che l’affitto è tutto a suo carico e così le utenze, il suo Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) è addirittura più basso dell’anno precedente. In altre parole, è più povera. Ma l’affitto non conta nulla, e così l’invalidità al 70 per cento che non dà punteggio. Sommate ai contributi per il figlio che riceve dall’ex marito, le entrate del 2023 la escludono dall’Assegno.

Sola, madre, malata, precaria. In Italia basta e avanza perché una donna si trovi in serie difficoltà e allo stesso tempo esca dai radar dello Stato. “Siamo in tante, poi dietro a molte c’è la famiglia d’origine, che mette soldi, casa, sacrifici”. Nel suo caso no, la famiglia non c’è. “Non ho nulla, nemmeno la macchina. Siamo io e mio figlio”. Che l’anno prossimo diventerà maggiorenne. L’Italia è quinta, dietro Bulgaria, Romania, Lituania e Serbia, per correlazione tra lo stato di povertà di un adulto e la povertà dei genitori. Che si eredita: il 30 per cento dei 25-49enni in condizioni di deprivazione viveva già in famiglie povere all’età di 14 anni. Un problema intercettato solo in minima parte dalla linea netta che divide beneficiari ed esclusi delle misure di contrasto alla povertà. Che welfare e mercato del lavoro mostrano di non essere in grado di riassorbire. Per le donne, il rischio di finire sotto la soglia di povertà è quattro volte quello degli uomini. Quanto alle fasce di età, i giovani fino ai 29 anni rischiano 3,5 volte più dei over 60. Secondo un’indagine dell’Osservatorio nazionale dei diritti e delle famiglie sui dati del 2021, il reddito medio annuo delle famiglie che si rivolgono ai Caf è di 13.000 euro circa per i nuclei monoreddito con carichi di cura. Lo stesso di Clara: “Togli le imposte, l’affitto, le spese e capisci come una madre single, malata oncologica, che lavora e paga le tasse possa diventare povera”, le tocca constatare. “Quello che non capisco è perché veniamo lasciate sole. Non siamo anche noi donne, madri, cristiane?”

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