“Volevo difendere mamma. Quando sono andata in cucina e ho provato a separarli, mio padre mi ha aggredita, mi ha seguita in camera da letto e mi ha preso a pugni. A quel punto mi sono difesa, ma non volevo ucciderlo“. A parlare è Makka Sulaev, la giovane fermata per aver ucciso il padre Akhyad a coltellate. Assistita dall’avvocato Massimiliano Sfolcini, decide di rispondere a tutte le domande del pm Andrea Trucano della procura di Alessandria. Ricostruendo un quadro familiare di violenze da parte del padre nei confronti della moglie e dei quattro figli.

Il verbale, riportato dal Corriere, ricostruisce la dinamica della lite. “Venerdì papà si è licenziato. Per l’ennesima volta aveva perso il lavoro da muratore”, spiega la ragazza agli inquirenti. “Dopo si è diretto al ristorante. Quello dove mamma lavora come lavapiatti e dove io nel weekend aiuto come cameriera. A mia madre ha chiesto di licenziarsi. Lei gli ha detto di no. Gli ha domandato: ‘Ma come facciamo con i soldi. Come andiamo avanti?’. La prima lite è scoppiata in quel momento. Mamma lo ha anche mandato via”.

Il racconto della ragazza – E prosegue: “Ma arrivato a casa lui ha ricominciato. Non era una novità. Papà ci ha sempre picchiate. In Cecenia, quando ero più piccola, era anche peggio. Ha sempre praticato arti marziali, conosceva la boxe e il karate. Se la prendeva soprattutto con noi. Con i miei fratelli invece alzava le mani solo se intervenivano nelle discussioni. Ho cercato di dividerli, dicendogli di smetterla di trattarci cosi. Lui se l’è presa con me. Mi ha inseguita per casa, fino alla mia stanza, mi ha presa a pugni – racconta ancora la giovane -. Mamma si è rimessa tra noi. Io ho preso un coltello per difendermi. L’ho colpito lasciandolo a terra. Ma non volevo ucciderlo. Poi ho atteso i carabinieri“. Era un uomo “violento, esperto nelle arti marziali – sottolinea l’avvocato di Makka, Massimo Solcini del foro di Alessandria – capace di colpire la moglie e le figlie senza lasciare lividi”. Tanto è vero, aggiunge Alberto Sosso, il titolare dei ristoranti nei quali lavoravano sia Makka sia la madre, che “non abbiamo mai visto la signora venire al lavoro con delle ferite o dei lividi”.

Quando i soccorritori sono arrivati nell’abitazione, l’uomo era ancora in vita, ma è morto poco dopo, nonostante i tentativi di rianimarlo, a causa delle gravi ferite riportate. I carabinieri, intervenuti sul posto, hanno trovato la ragazza in stato di choc che ha subito ammesso le sue responsabilità. Al momento del litigio in casa c’era l’intera famiglia, più un’estranea: la maestra dei più piccoli, che dava loro lezioni private per stare al passo con il programma. È stata lei a chiamare i soccorsi e i carabinieri.

I reati contestati – La famiglia di Makka, racconta il legale Massimo Sfolcini, è “riservatissima, con un orientamento religioso molto osservante, che ha determinato una solitudine nei fatti e nell’indagata una disperazione nel non poter trovare aiuto per la situazione in casa”. Sentita per oltre tre ore a tarda sera dagli investigatori, la ragazza è stata fermata per omicidio aggravato dal vincolo familiare e condotta in una struttura protetta. “La più grande preoccupazione come difesa ora è tutelarla. Si trova in condizioni psicologiche difficili, è in grande difficoltà – dice il legale -. Credo che l’udienza di convalida sarà lunedì e ragioneremo davanti al gip incaricato di Alessandria. Non penso sussistano le ragioni per esigenze cautelari, vedremo le richieste del pm Andrea Trucano”.

“La ragazza – riferisce il difensore – aveva assunto un ruolo significativo in famiglia, perché oltre a studiare con profitto, badava ai fratelli più piccoli e nel fine settimana, le sere dal venerdì alla domenica, lavorava nello stesso locale dov’era impiegata la mamma, per aiutare economicamente. Tra di loro in casa parlavano in russo, comunque lei si era ambientata, ma faceva fatica a stringere amicizie solide, anche se c’era un’amica in particolare a cui aveva confidato la situazione”.

Non c’erano segnali e nulla che potesse far pensare a una cosa del genere. Siamo vicini alla famiglia per il dolore che stanno vivendo ma non c’erano avvisaglie o segnali di violenza. Era una famiglia normale” dice a LaPresse Simone Nosenzo, sindaco di Nizza Monferrato. “Qui in paese non c’è una comunità cecena: la famiglia era arrivata qui tre anni fa ed era inserita. La giovane andava a scuola e, come il padre e la madre, lavorava in alcuni locali cittadini. Conducevano una vita regolare, non c’erano segnali evidenti di liti in famiglia”, prosegue il primo cittadino.

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