Il giorno è lo stesso, le prime lettere del cognome pure, poi ci sono ventidue anni di distanza e un paio di universi di differenza tra due gol meravigliosi. Il primo è genialità pura, magia, una beffa di quelle che ancora oggi a guardarle si resta pieni di domande: un gesto del genere viene naturale? Cosa scatta nel cervello per fare una cosa simile?

Domande che per la verità scattano sovente quando si tratta di tocchi, colpi e astuzie di Diego Armando Maradona. Nel caso di specie il colpo è quello di 37 anni fa: il Napoli veleggia spedito verso il primo, storico Scudetto. Il vantaggio della truppa di Bianchi nell’era dei due punti è abbastanza largo, e le inseguitrici pure vanno soggette a diversi passi falsi. Al San Paolo arriva la giovane e agguerrita Sampdoria di Boskov con un tridente terribile composto da Roberto Mancini, Gianluca Vialli e Giuseppe Lorenzo. Per Maradona e compagni è una bruttissima gatta da pelare: quei tre lì davanti si divertono assai e creano parecchi grattacapi a Renica, Ferrara, Bruscolotti e Ferrario mentre Garella, al solito, ci mette i piedi più che le mani. I blucerchiati però passano con Lorenzo, con una gran botta sotto la traversa.

Dopo sei minuti Renica si invola sulla fascia sinistra facendo partire un cross basso poco prima di arrivare all’altezza dell’ area: al centro c’è Maradona che ha già capito e si è mosso per anticipare gli avversari ritrovandosi pronto a battere Bistazzoni. E’ un cross basso, Diego è in anticipo: basterebbe metterci un pezzettino di piede sinistro, nel caso di specie peraltro dotato di benedizione divina, per segnare. Insomma, Maradona ha fatto cose dal coefficiente di difficoltà ben più alto rispetto a un banalissimo anticipo di sinistro da dentro l’area. Pensieri ordinari fin qui, dove l’ordinarietà però è come una bestemmia: Diego non allunga la gamba sinistra per battere no, porta il busto in avanti e si piega in basso, tuffandosi a pelo d’erba quasi fosse la pubblicità di un gioco che avrebbe lanciato Gig di lì a poco, Crocodile Mile. Un tuffo che nessuno si aspetta, tantomeno Bistazzoni che esce a valanga provando a neutralizzare l’ordinario, vedendosi invece passare quel trucco, quell’artificio del più incredibile degli illusionisti che intanto quasi ride col la faccia nell’erba, sotto il fianco destro e finire lemme lemme in rete. E sì, col sinistro Diego – dal gol del secolo alla punizione alla Juve – ha affrescato la volta calcistica, ma forse quei pochi segnati con la testa, dal Milan alla Sampdoria, sono ancora più incredibili.

Altro primo marzo, 22 anni dopo: protagonista un “pittore” ben più umile, che tuttavia pure ha messo la firma su bei dipinti. A Palermo il derby contro il Catania: i rosanero di Ballardini sono a ridosso della zona Uefa, i rossoblu di Zenga invece si guardano alle spalle, ma in zona relativamente tranquilla della classifica di Serie A. La partita è un monologo etneo: prima Pablo Ledesma segna per il vantaggio, poi raddoppia Morimoto. A fine primo tempo il portiere Bizzarri deve rinviare dal fondo: la spedisce nel cerchio di centrocampo con una spizzata catanese che finisce sul petto di Morimoto qualche metro più in là. Il giapponese la smorza soltanto e il pallone viaggia verso Peppe Mascara che invece di controllarla e far salire la squadra tira una mazzata fortissima. Il pallone si impenna, in una traiettoria quasi alla Holly e Benji, finendo fuori dall’inquadratura delle telecamere, poi comincia una discesa velocissima e planando sfiora la traversa rimbalzando sulla linea di porta e finendo dentro, battendo Marco Amelia. Un gol che sorprende e fa impazzire un telecronista esperto come Maurizio Compagnoni, che in visibilio parla di “gol che sarà visto pure a Tonga”. Non si hanno notizie circa l’apprezzamento del gol di Peppe Mascara nel regno polinesiano, dove probabilmente Maradona sarà più conosciuto (anche se non per quel gol alla Samp), ma oggi è il primo marzo: se qualcuno volesse provare a fare un gol degno degli onori di Tupou VI (re di Tonga) la congiuntura astrale pare propizia.

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