La guerra sul suolo europeo, scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio del 2022, sta causando notevoli vantaggi all’economia statunitense e in particolare all’industria degli armamenti e a quella delle esportazioni energetiche. A sostenerlo non è un blog della propaganda filorussa, ma un’attenta analisi condotta dal quotidiano Wall Street Journal. Negli ormai due anni trascorsi da quando la Russia ha lanciato la sua offensiva su larga scala, l’industria della difesa Usa ha registrato un notevole incremento in termini di ordini di armi e munizioni, in parte provenienti dalle richieste degli alleati europei che si imbattono da tempo in una fase di riarmo e aiuto a Kiev, e in parte dallo stesso Pentagono, che ha necessità di riempire le scorte di attrezzature ed armamenti ridimensionate dal vasto e continuativo supporto militare dimostrato in questi anni all’Ucraina. Negli Usa del resto hanno sede molti dei principali produttori di armamenti al mondo, tra cui Lockheed Martin, Northrop Grumman e Raytheon Technologies.

Secondo i dati pubblicati dalla Federal Reserve, negli ultimi due anni la produzione industriale statunitense relativa ai settori di spazio e difesa ha visto un aumento di circa il 18%, mentre una stima proveniente direttamente da alcuni funzionari dell’amministrazione Biden attesta al 64% la quota di ritorno economico alla base industriale della difesa su un totale di 60,7 miliardi di dollari stanziati dagli Usa in sostegno a Kiev nell’ultimo disegno di legge approvato recentemente al Senato controllato dai democratici. Quello del ritorno economico è un fattore importante e in grado, oltre di poter permettere un’approvazione del provvedimento anche alla Camera controllata dai Repubblicani, anche potenzialmente di condizionare la campagna elettorale dei democratici con l’obiettivo porre le basi per il proseguimento dell’aiuto finanziario e militare all’Ucraina facendo presa sulle categorie dei datori di lavoro di stati in bilico come Arizona e Pennsylvania, dove la componente economica potrebbe spostare gli equilibri dal punto di vista elettorale.

Secondo quanto affermato da Myles Walton, analista del settore militare presso l’istituto Wolf Research, la spesa dei governi europei per prodotti militari statunitensi relativa agli ultimi due anni rappresenta “un investimento generazionale equivalente ai vent’anni precedenti”. Walton ha anche aggiunto che degli 80 miliardi di dollari di accordi in armamenti annuali stipulati dagli Usa fino al settembre 2023, più della metà sono stati forniti agli alleati europei, una quota ben cinque volte maggiore rispetto alla tendenza storica riscontrata negli ultimi nove anni.

Al di là del comparto militare, c’è poi quello energetico a riempire le casse degli Usa. Gli squilibri sul mercato energetico conseguenti all’invasione dell’Ucraina hanno causato elevati livelli di inflazione in particolare nel contesto europeo, facendo inoltre schizzare in alto la domanda di gas naturale liquefatto (Gnl) di produzione statunitense. È infatti soprattutto grazie a questo fattore che nel 2023 gli Usa sono diventati il maggiore esportatore mondiale di Gnl, un record che secondo le previsioni è destinato a raddoppiare le proprie quote entro il 2030, due terzi delle quali destinate agli stati europei. Negli Usa sono infatti in costruzione almeno cinque vasti progetti di produzione di Gnl per un valore complessivo di 100 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali avviati dopo l’invasione russa dell’Ucraina quando il beneficio rappresentato dalla sua esportazione è diventato più evidente e ha attratto diverse aziende europee che avevano in parte reciso i propri legami con la Russia e le sue materie prime e, secondo il direttore della ricerca globale sul gas e sul Gnl presso Rapidan Energy Group, Alex Munton, questi investimenti rappresentano ancora una volta un “notevole beneficio” per l’economia statunitense.

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