Nella causa intentata da Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani contro Eni, il colosso energetico si avvale di due consulenti che dichiara “esperti indipendenti” ma che, secondo le due ong, non lo sarebbero affatto. Alla vigilia della prima udienza della causa civile (intentata anche contro Cassa Depositi e Prestiti e ministero dell’Economia e delle Finanze), Greenpeace e ReCommon pubblicano un report che ripercorre dichiarazioni, posizioni e collaborazioni dei due professionisti in questione e di cui ilfattoquotidiano.it pubblica i contenuti in anteprima. Si tratta di Carlo Stagnaro, attuale direttore degli studi e delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, think tank liberista noto anche per aver assunto, in più occasioni, posizioni negazioniste sul cambiamento climatico, e Stefano Consonni, professore ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, che ha collaborato per più di vent’anni con le più grandi aziende globali dei combustibili fossili, come Exxon, BP e la stessa Eni e che nel 2021 è stato condannato in primo grado a risarcire al Politecnico di Milano per aver svolto, senza autorizzazione dell’università di cui era dipendente, incarichi in favore di società profit, anche nel settore energetico.

Le consulenze chieste da Eni – Con la causa, Greenpeace e ReCommon chiedono, tra le altre cose, che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, per mantenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C, come suggerisce l’Ipcc, il Panel intergovernativo sul cambiamento climatico, massima autorità scientifica in materia a livello globale. A Stagnaro e Consonni, il colosso dell’oil&gas chiede di affrontare “i temi del cambiamento climatico e del percorso di transizione energetica” e di esaminare “la strategia di decarbonizzazione di Eni, alla luce degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e dei principali scenari elaborati dalle istituzioni internazionali”. Ma le consulenze lasciano perplesse le due organizzazioni. “Si può ritenere attendibile, nell’ambito di questo contenzioso, la consulenza di chi ha spesso sposato in prima persona e diffuso posizioni negazioniste in fatto di cambiamenti climatici? Si può ritenere libero di giudizio un esperto chiamato a dare un parere sull’operato di una azienda fossile da cui ha ricevuto in passato compensi?” si domandano le ong.

Stagnaro, le prime posizioni e l’attacco all’Ipcc – Carlo Stagnaro ha contribuito a fondare, nel 2003, l’Istituto Bruno Leoni. “Sin dall’inizio, l’Ibl si è contraddistinto per aver assunto in diverse occasioni posizioni negazioniste sull’origine antropica dei cambiamenti climatici – scrivono le ong – sulla scorta di quanto avvenuto per anni negli Stati Uniti”. Proprio al 2003 risale un approfondimento scritto da Stagnaro (a quattro mani con il giornalista Antonio Gaspari) mentre era a capo del settore ‘Ecologia di mercato’ dell’Istituto Bruno Leoni, dal titolo ‘Il Protocollo di Kyoto: la risposta sbagliata a un problema che non c’è’. Un lavoro nel quale si citano gli studi di Fred Singer, uno degli scienziati di punta nella negazione dell’origine antropica del riscaldamento globale, nonché fondatore del Nongovernmental International Panel on Climate Change, in evidente contrasto con l’Ipcc. Come ricordato nel libro ‘A qualcuno piace caldo. Errori e leggende sul clima che cambia’ scritto da Stefano Caserini, oggi docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici presso il Politecnico di Milano, in passato Stagnaro è arrivato a definire il comportamento dell’Ipcc “scandaloso e senza precedenti” o “disonesto”.

Le ultime posizioni – Nel 2019, però, Stagnaro ha risposto alle accuse di vicinanza a think tank o reti promotrici di tesi negazioniste e lo ha fatto sul blog “Cattivi scienziati”, curato da Enrico Bucci. “Nel passato, quando il dibattito era più aperto e le incertezze maggiori – ha scritto – abbiamo dato maggiore spazio anche alle tesi “scettiche” (non “negazioniste”: a mia conoscenza, nessuno nega che il clima stia cambiando e che l’uomo abbia delle responsabilità; la questione era ed è quante responsabilità e con quali conseguenze)”. E ancora, ha fatto riferimento ad alcuni think tank che “hanno una posizione più radicale della nostra in merito al clima. La nostra collaborazione con loro – ha spiegato – non è però legata a questo o ad altre posizioni su temi specifici, ma alla comune appartenenza alla famiglia liberista”. Di fatto, negli ultimi anni le esternazioni assimilabili al negazionismo climatico da parte di Stagnaro sono pressoché sparite. In un post su X del novembre 2019, ha sintetizzato la posizione dell’Istituto Bruno Leoni sul clima: “Il cambiamento climatico esiste ed è dovuto anche all’uomo. Le emissioni vanno ridotte. Non tutte le politiche che hanno come obiettivo la riduzione delle emissioni funzionano o sono efficienti”. Eppure nel 2018, ricordano le ong, “l’Ibl è stata protagonista del lancio in Italia di uno dei capisaldi del nuovo negazionismo, ossia il libro ‘In difesa dei combustibili fossili’, scritto dallo statunitense Alex Epstein.

I legami dell’Ibl con gruppi di pressione e colossi dell’ong – Secondo le ong, poi, resterebbe un filo conduttore tra l’istituto e il negazionismo made in Usa. Nel 2004, l’Ibl è stata tra le prime realtà non statunitensi ad aderire alla Cooler Heads Coalition (CHC), gruppo di pressione che, per almeno due decenni, ha lavorato per promuovere il negazionismo climatico e che, come raccontato dal Washington Post, “dopo aver definito la scienza del clima una bufala”, avrebbe avuto un ruolo nella decisione di Trump di far uscire gli Usa dall’Accordo di Parigi. Nel 2008, inoltre, l’istituto ha contribuito a organizzare a New York l’evento ‘Global warm is not a crisis’ insieme all’Heartland Institute, altra organizzazione che fa parte della Cooler Heads Coalition. Un lavoro investigativo condotto dal sito investigativo Climate Information Center riporta che dal “1997 al 2015 i membri della CHC hanno ricevuto oltre 98 milioni di dollari in donazioni da Exxon Mobil, fondazioni conservatrici e altre organizzazioni”. A questo riguardo, le ong citano anche un approfondimento de ilfattoquotidiano.it su un contributo da 30mila dollari che nel 2010 l’Istituto Bruno Leoni, i cui bilanci non riportano i nomi delle realtà che effettuano donazioni nei confronti del think tank, avrebbe ricevuto da parte di Exxon, mentre l’Eni (allora guidata da Scaroni) avrebbe contribuito per quell’anno con 12mila euro. L’Istituto Bruno Leoni fa parte sin dalla sua nascita anche dell’Atlas Network, rete di oltre 500 organizzazioni (tra cui anche l’Heartland Institute) e che tiene anche la contabilità dell’istituto italiano. Il sito investigativo statunitense Desmog racconta che negli anni l’Atlas, oltre ad aver ricevuto milioni di dollari di finanziamenti da una serie di fondazioni finanziate legate ai fratelli Koch e dalla Fondazione ExxonMobil, ha sponsorizzato numerosi eventi dell’Heartland Institute volti ad affermare che il cambiamento climatico non è una crisi.

Consonni e le consulenze con le big fossili – Il secondo esperto di cui Eni chiede la consulenza e che ritiene “indipendente” è Stefano Consonni. “Da più di vent’anni – si spiega nel report – il suo nome compare come ricercatore principale o partecipante a studi finanziati, solo per citare alcuni casi, da Eni, Exxon Mobil Corporation, una delle principali compagnie petrolifere statunitensi che opera sul mercato europeo coi marchi Esso e Mobil, oppure BP, società oil&gas del Regno Unito”. La lista completa è lunga. “Nutrite collaborazioni – scrivono le ong – che non sono passate inosservate alla Procura della Corte dei Conti”. Il professore universitario, infatti, nel 2021 è stato condannato in primo grado, dalla Sezione Giurisdizionale della Lombardia, a risarcire al Politecnico di Milano di cui era dipendente, l’importo di 250mila euro per aver svolto, senza poterlo fare, incarichi in favore di società profit. Per dedicarsi sistematicamente alle consulenze esterne, infatti, un docente universitario deve modificare il suo regime in “tempo definito” perdendo, in questo modo, lo status di professore e i benefici economici che questo presuppone. Per questo motivo, sono stati contestati a Consonni 439.500 euro di prestazioni professionali “contra legem”, per le quali il docente ha dovuto risarcire il polo accademico con 250mila euro (la cifra incassata diminuita di imposte e ritenute fiscali al 41%)”. Le consulenze finite sotto i riflettori della Guardia di Finanza sarebbero state eseguite nel giro di cinque anni per aziende leader nella produzione e trading di energia, tra cui A2A Ambiente, Acea Ambiente srl, Ecolombardia 4 spa, Engie Servizi spa, Lomellina Energia srl e altre realtà del settore. A maggio 2024 è prevista la decisione in merito all’appello.

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