Per secoli l’accesso all’istruzione e alla ricerca è stato appannaggio quasi esclusivo degli uomini. Per iniziare a entrare nelle aule universitarie, prima come studentesse e poi come ricercatrici, si è dovuto aspettare in gran parte del mondo l’età moderna. Esempi precedenti sono spesso anomalie ed eccezioni al paradigma, il più delle volte rimossi dalla storia e finiti nell’oblio. In Italia sono i decreti del 1875 e del 1876 – nel Regno appena unito – a introdurre formalmente la possibilità per il sesso femminile di iscriversi all’università, decreti che peraltro non entrano completamente in vigore fino al 1883. Ma l’Italia non è la sola, e in quasi tutto il mondo per troppo tempo le poche donne che arrivano a fare ricerca devono studiare in contesti non ufficiali, come quello familiare e privato.

Un ritardo storico che ha ancora conseguenze sul presente, se si pensa che nel 2023 solo il 33 per cento della comunità scientifica europea è composto da donne. E se si pensa che più si va avanti nella carriera accademica, più le ricercatrici e le professoresse donne diminuiscono. In Prime – Dieci scienziate per l’ambiente (Codice edizioni, 224 pagg., 17 euro) un gruppo di ricercatrici e ricercatori racconta la vita e le scoperte di 10 scienziate fondamentali per la storia delle Stem, ma ancora oggi troppo poco note proprio a causa del loro genere. Il volume collettaneo a cura di Mirella Orsi e Sergio Ferraris “permette di avere una visione più ampia e completa e di familiarizzare con il concetto di ‘complessità‘ del sapere scientifico”, si legge nella nota al testo. “Inoltre, diffondere queste storie ha un fortissimo valore sociale, specie tra le nuove generazioni”.

La raccolta di saggi offre una panoramica di genere parziale – come è ovvio – eppure globale, passando da Jeanne Baret e le sue avventure scientifiche (fatte grazie a un travestimento da uomo) a Rachel Louise Carson e il suo manifesto antesignano del movimento ambientalista Primavera nascosta, da Laura Conti, la medica partigiana che portò l’ecologismo in Italia, a Maria Sibylla Merian, che i principi dell’ecologia li anticipò già nel XVII secolo. Quasi tutte donne a cui, come si legge nella prefazione di Maurizio Melis, l’essere escluse dai circuiti accademici ha forse permesso, paradossalmente, di avvicinarsi al proprio oggetto di studio, e in modi inediti e rivoluzionari.

Jeanne Baret, la prima donna a circumnavigare il mondo – Aveva sperimentato il suo travestimento per le vie di Parigi, con il seno fasciato con delle bende di lino e i capelli tagliati corti. Nata nel 1740, in pieno Illuminismo, Jeanne Baret è considerata la prima donna ad aver compiuto la circumnavigazione del globo. Nel capitolo a lei dedicato Giorgia Burzachechi – vicedirettrice della testata online giornalistinellerba.it – ripercorre la sua storia, dalle strade di Parigi alle Mauritius, sola donna su una nave con trecento uomini, in condizioni igieniche precarie, con acqua potabile e viveri che andavano riducendosi con il procedere della traversata. Burzachechi ricostruisce la storia di come Jeanne, divenuta Jean, si sia arruolata come “valletto e assistente” del naturalista Philibert Commerson rivelandosi poi anche lei un’esperta di botanica: “Al Muséum National d’Histoire Naturelle di Parigi è conservato un quaderno su cui Commerson appuntava le piante che catalogava e in cui dovevano trovarsi anche le indicazioni di rimedi per fermare la cancrena“, si legge. “È possibile ipotizzare che, data la grande conoscenza di Baret sulle proprietà terapeutiche delle piante, fosse proprio lei a curare quella sezione e che avesse scelto, tra le tante, proprio quella che chiamiamo bougainvillea per trovare un rimedio ai problemi di salute del naturalista”.

Maria Telkes, la regina del Sole – Nata a Budapest nel 1900, è stata una biofisica, inventrice e ricercatrice ungherese naturalizzata statunitense, nota per i suoi contributi riguardanti l’energia solare, raccontati da Paola Bolaffio, direttrice della testata online giornalistinellerba.it. A Telkes si deve l’invenzione dei sistemi di accumulo termico solare, che le valsero il soprannome di “the Sun Queen“, come la prima casa riscaldata solo con energia solare. “Una rivoluzione tecnologica – spiega Bolaffio – ma anche sociale e culturale”. La storia della Casa del Sole è anche la storia della collaborazione di tre donne “in un’epoca in cui si presumeva che il posto di una donna fosse in casa, non a costruirne una”, come sottolinea sul Boston Globe nel 2019 Andrew Nemethy, nipote della scienziata che in quella casa visse durante l’infanzia. La Sun House viene realizzata nel 1948 grazie alla collaborazione di Telkes con Amelia Peabody – che finanzia il progetto quando Telkes viene estromessa dal bando del Mit a causa di alcuni conflitti interni – e con Eleanor Raymond, l’architetta che progetta la casa. Come raccontato ancora nel volume, le invenzioni di Telkes non si fermano qui. A Telkes che si devono “tante soluzioni alla portata di tutti, anche pensate per le cucine delle donne nei villaggi, così da non bruciare legna o carbonella“: un forno solare, ma anche il primo generatore di energia termoelettrica (1947) e il primo frigorifero termoelettrico (1953).

Jane Goodall nella casa degli scimpanzé – “Voglio essere un maschio, così posso avere una vita piena di avventure insieme agli animali selvaggi”. Inizia così il capitolo in cui Gabriele Vallarino – biologo e collaboratore de ilfattoquotidiano.it – ricostruisce la vita dell’antropologa nota per aver letteralmente vissuto con gli scimpanzé per studiarne il comportamento. Inizia con il desiderio della Goodall bambina, che si esaudisce grazie alla sua determinazione: la sua ricerca di campo sulla vita sociale degli scimpanzé, iniziata nel 1960 al Parco Nazionale di Gombe Stream, in Tanzania, ha portato alla conoscenza di questa specie, di cui, prima di lei, non si sapeva nulla. Come ricostruito da Vallarino, un punto di svolta nelle sue ricerche si ebbe quando la studiosa “osservò con grande sorpresa che gli scimpanzé sceglievano con cura un ramoscello, lo privavano delle foglie e se era incurvato lo manipolavano perché rimanesse dritto. Il bastoncino veniva poi infilato nel terreno, cosicché le termiti, per difendere la tana, si avvinghiavano ad esso, inconsapevoli del fatto che in questo modo si consegnavano agli scimpanzé, che di colpo tiravano fuori il ramoscello per portarselo alla bocca”. Facendo così sfumare il mito dell’“Uomo, il costruttore di utensili”: “Ora dobbiamo ridefinire l’uomo, ridefinire lo strumento, o accettare gli scimpanzé come umani”, commentò il paleoantropologo Louis Leakey, di cui Goodall era stata segretaria. Le sue osservazioni hanno ridefinito i confini di cosa sia “umano”, la sua vita e quella delle altre donne raccontate nel libro hanno ridefinito i confini su cosa debba essere solo “maschile”. Nulla.

Articolo Precedente

Pista bob Cortina, esposto degli ambientalisti per fermare il taglio di cinquecento larici: “Servono verifiche sull’affidamento dei lavori”

next