Six Poems for Astraeus di Cynthia Zarin è una piccola raccolta di poesie edite e inedite che l’autrice ha selezionato appositamente per il blog Linguafranca. Sono poesie d’amore sotto il segno di Astreo, titano a cui la mitologia greca attribuisce la nascita delle stelle e dei tre venti del Mediterraneo, oltre che dei pianeti visibili a occhio nudo; sei poesie che fanno del mondo interiore della poetessa la realtà intera, del suo microcosmo la cellula primigenia che reiterandosi va a formare e plasmare il cosmo della sua poetica. L’infinitamente piccolo – ragnatele, coccinelle, foglie dorate, falene, schegge di legno, il bosco con la sua vita intima e minuta – si rispecchia nell’infinitamente grande, e in questo si riverbera in tutte le sue possibilità, oltre qualsiasi limite spaziale e temporale: a partire dall’antico Egitto con Bastet, la dea dalla testa di gatta, e dal mondo classico con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. narrata da Plinio il Giovane, fino a giungere alla contemporaneità, alle spiagge di Race Point Beach in Massachusetts, passando per i disegni floreali delle pitture cinquecentesche. Il giorno dopo, Pompei e Per Astreo sono già comparse sulle pagine di «The New Yorker», Race Point in «The Yale Review», e Autunnale in the TLS («Times Literary Supplement»). Nido di vespe è invece inedita. I sei componimenti faranno parte di “New Poems”, sezione di Next Day: New and Selected Poems, nuova raccolta poetica dell’autrice che uscirà il prossimo agosto per Knopf.

N.B. – Per ragioni di formattazione non è stato possibile rendere su questo spazio la disposizione dei versi come nell’originale.

S. S.

***

IL GIORNO DOPO

La catasta brulica di topi e falene,
legna ridotta in cenere prima di ardere –
all’alba, il tuo sogno, una sirena

con una miccia che ticchetta, scivola oltre la rete
inzaccherata del sonno, la coda frustamozzata,
un metronomo.

Che ne sarà di noi?
A neanche un miglio, una sterna, a scapicollo
al limite della bassa marea, scrive la sua

domanda: maggiore di, minore di? La spuma del mare
marmorizza ogni onda verde, i risguardi
paradisiaci di Nettuno.

Ultimo amore,
la falena in fiamme, ali carbonizzate color lavanda bigia
sfrega la capocchia di velluto del fiammifero contro la mensola.

Se t’amo di meno
diventi io quell’esile filo di ragnatela.

RACE POINT

Fanfara di cornamuse, il clangore che segnala casa –
sveglia troppo presto, sistemo vecchi conti con me stessa,
ogni perdita depennata una chimera parlante,

i tuoi cinquecenteschi disegni floreali
aprono le bocche. Ieri, la sabbia
viola, poi acquamarina, la torretta

della Guarda costiera una Bastet mastodontica, i vaghi
occhi di gatta contro la palpebra di tenebra dei nembi.
Ma cos’è una bussola senza la rosa dei venti?

Truro, Starksboro… l’omphalos
di vecchi toponimi; la cagnetta, tremante
ai miei piedi, sa di non lasciare la macchina

per paura che rimarrà indietro. Il suo compito –
amare chiunque la tocchi.

POMPEI

Presenza di un’assenza, assenza d’una presenza,
com’era? Corde di un’arpa rotta.
Quant’è impaziente la terra di renderci suoi debitori –
il crepuscolo in prestito dalla sua biblioteca delle ore.

All’alba le nostre ginocchia sconquassate sono ruote d’un carro
che girano nell’aria d’ambra, i nostri giorni contati
una girandola zodiacale che ruota all’impazzata: il platano,
il cane, la nassa per l’aragosta, la storia di Plinio a Pompei

che tua madre, morta da tempo, narrava – dolore, o follia
volere che il cielo cada a coprire di polvere
le nostre ossa fuse? Stamane a New Haven
la sbiancata luna coperta dalla pioggia, poi la luce

che bussa alla finestra con le sue richieste, l’alba
che s’infila ancora una volta nella cruna del tempo.

NIDO DI VESPE

Una baracca di schegge di legno e saliva, caduta
o abbattuta, planetaria, come una gatta
che ha leccato un gattino, finita a terra

dove le foglie sono dorate nei boschi riarsi;
poco lontano, la vespa zoppicante
grande come un dito, una minuscola spider gialla, rosso

il muso scimmiesco fuori nella galassia
della perdita autunnale. Stanotte la luna
di madreperla sul manto strappato del crepuscolo; sacro,

il candelabro del carrubo punto
di luce rosa e dorata. I nostri torti annunciano
cambiamenti, calcano le scene – una volta, pensavo, in quel

primo respiro, questo non può ferirmi
ama il mio testimone nonostante le imprecazioni del mondo.

PER ASTREO

Azzurro chiaro, i giorni spezzati in due radio puro,
trina dolceamara nel campo bianco di neve,
i semi rossi coccinelle, il papiro dagli sfogli dorati,

la scrittura a caratteri minuti, vola via, vola a casa.
Ma noi siamo casa. Scontrosi, angelici
i tuoi dirigibili agitano le ali di pergamena

sopra lo stagno, le trappole a scatoletta della slitta a vela
incendiano gli aloni del pavone. I nostri doni
fumosi irritano, non sono graditi – persino

il copriletto verde-dorato, i suoi scacchi
a rombi scuciti, scivola dal letto scoprendoci.
Vivere qui con me? Gli innamorati del crepuscolo

macchiano l’erba. Dal soffitto guardi giù,
con in mano la folgore ammutolita di Eros.

AUTUNNALE

È così poco quel che la vita ci chiede di sopportare –
la mia mano rugosa sul guanciale, il becco di un’oca,
le nuvole, i tuoi silos gemelli, madre e padre

muti nella luce grigio-verde-dorata, gli emissari
dei bambini dalla terra dei morti,
fantasmi vagolanti sotto le grondaie, come volani.

Rovi lacerano l’architrave spezzato.
Il Risorgimento traballa, riguadagna terreno,
i tuoi occhiali da lettura sono il centro cui mira il cannocchiale

del sole a serramanico, l’agrodolce intimidito
si ritira di scatto sotto il soffitto inclinato del giorno –
il terreno battuto dove un tempo stavamo in piedi.

L’amore ci disegna a occhi chiusi.
Accada quel che accada… ma è accaduto.

***

Cynthia Zarin è autrice di cinque raccolte poetiche (l’ultima dal titolo Orbit and The Ada Poems), di cinque libri per bambini e di due raccolte di saggi: In Italy, Venice, Rome and Beyond (Daunt, 2023) e An Enlarged Heart: A Personal History. Il suo romanzo, Inverno, è uscito a gennaio 2024 per Farrar, Straus & Giroux. Ha vinto, tra gli altri, il Guggenheim Fellowship, il Peter I. B. Lavan Younger Poets Award e il Los Angeles Times Book Prize for Poetry. Scrive per «The New Yorker», insegna alla Yale University e vive a New York City.

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