Il giorno dopo aver depositato gli emendamenti del governo, la ministra delle Riforme apre già a nuove modifiche sul Premierato. Il motivo? I dubbi sollevati sulla norma che regola le dimissioni del capo dell’esecutivo in caso di sfiducia su un singolo atto: gli emendamenti dell’esecutivo parlano di un passo indietro volontario, mentre per molti costituzionalisti dovrebbe essere obbligatorio. Rischia di trasformarsi in un mezzo pasticcio il lavoro portato avanti da Elisabetta Casellati sulla riforma costituzionale. “Nulla è immodificabile“, ha detto la ministra delle Riforme ai cronisti che l’ha incalzavano sulle norme di dubbia interpretazione. E alla fine pure Ignazio La Russa ha spiegato che il governo potrebbe aver bisogno di altro tempo: “Se ci saranno necessità di avere tempo per valutare ulteriori eventuali emendamenti ne prenderemo atto e ci prenderemo tutto il tempo necessario”, ha detto in aula il presidente del Senato. Ma andiamo con ordine.

Meloni rivendica, la Lega è muta – Una svolta nella discussione sulle riforme costituzionali sembrava essere stata raggiunta lunedì sera, quando l’esecutivo ha depositato gli emendamenti che contenevano il frutto dell’intesa del centrodestra sulla riforma costituzionale. Un passaggio che ha ricevuto la benedizione della premier Meloni – e dunque di Fratelli d’Italia – e quella di Maurizio Gasparri per Forza Italia. Sul silenzio della Lega, invece, incombe un gigantesco punto interrogativo. Soprattutto se affiancato al contento degli stessi emendamenti. Le modifiche al ddl Casellati, infatti, aumentano i poteri del premier eletto, ma non dettano regole nei casi in cui l’inquilino di Palazzo Chigi non ottenga la fiducia posta su un singolo provvedimento. L’effetto è che anche nella maggioranza si sono diffuse diverse interpretazioni: c’è anche chi parla di un presidente del Consiglio dimezzato. Eppure il contenuto di quegli emendamenti è stato rivendicato direttamente dalla premier: “Sono molto contenta che lavorando” si sia arrivati “a una formulazione della norma più chiara e che ribadisce un fatto semplice, se passerà la riforma, sono gli italiani che devono scegliere da chi farsi governare”, ha detto Meloni nella serata del 5 febbraio.

Le incognite sulle norme – Il problema è che la norma non è chiara su un punto essenziale, quella del secondo premier che subentra se quello eletto viene sfiduciato. I nuovi emendamenti stabiliscono che se il capo del governo cade a seguito di una “mozione di sfiducia motivata“, allora si va alle urne automaticamente, come chiedeva Fdi. Se invece c’è una crisi extraparlamentare, allora il premier eletto può dare le “dimissioni volontarie” (aprendo la strada ad una “staffetta” concordata) oppure può chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere. Nel primo caso il Presidente della Repubblica, dopo le consultazioni, può dare l’incarico o allo stesso premier dimissionario o a un altro esponente della maggioranza. Ma gli emendamenti non dicono nulla nel caso più frequente: quello in cui il premier chiede la fiducia in Parlamento su un provvedimento, ma non la ottiene. In tal caso, le sue dimissioni nelle mani del Capo dello Stato sono un atto dovuto? O volontario? E poi cosa può succedere? Il Presidente può dare di nuovo l’incarico al premier sfiduciato? O solo a un altro esponente della maggioranza, il famoso secondo premier?

I dubbi dei costituzionalisti – Potrebbe dunque aprirsi uno scenario conflittuale: “Il premier eletto potrebbe far valere la sua legittimazione contro la decisione del Presidente di non sciogliere le Camere. Ma un Presidente forte, alla Scalfaro, potrebbe obiettargli che c’è una maggioranza contraria che l’ha sfiduciato”, diceva all’Ansa il costituzionalista Salvatore Curreri. Per l’ex deputato Peppino Calderisi, “la Lega ha ottenuto il diritto di imboscata“, visto che il premier sfiduciato non potrebbe chiedere le elezioni anticipate. Marcello Pera ha sottolineato proprio questo aspetto e ha invitato la maggioranza a “lavorare ancora” sui testi: se anche la riforma fosse approvata e superasse il referendum verrebbe dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale, perché tocca “un principio supremo, quello del rapporto di fiducia Governo-Parlamento“.

La ministra apre a nuove modifiche – Ecco perché, interpellata su questo punto, la ministra Casellati ha aperto a nuove modifiche. “Nulla è immodificabile”, ha detto, parlando coi cronisti al Senato. “Non capisco le critiche – ha detto la ministra – e le affermazioni sulla poca chiarezza dei testi. Qualcuno aveva detto che il secondo premier aveva più poteri di quello eletto, e siamo intervenuti proprio per rendere più chiari i poteri”. Con gli emendamenti depositati ieri, ha aggiunto Casellati “noi prevediamo che se il premier eletto viene sfiduciato da una mozione motivata, come prevede l’articolo 94 della Costituzione, ipso facto si va a elezioni anticipate. Poi abbiamo ampliato le possibilità del premier prevedendo che possa dimettersi volontariamente, magari perché il clima politico si è deteriorato; anche in quel caso può chiedere lo scioglimento delle Camere oppure può decidere di lasciare la palla ad un altro esponente della maggioranza, magari anche per motivi personali, come è accaduto in Svezia, perché non riesce a conciliare gli impegni di governo con quelli familiari”. E però in caso di bocciatura della fiducia su un singolo provvedimento il premier potrebbe anche decidere di non dimettersi. “Che un governo si debba dimettere sulla mancata fiducia su un singolo atto – ha replicato Casellati – non è scritto neanche nella Costituzione vigente, dove si parla solo di dimissioni in caso di mozione di sfiducia, all’articolo 94. E’ solo la dottrina a sostenere che sono un atto e dimissioni del governo che cade su un singolo atto. Anche un costituzionalista come il professor Marini ha detto che le dimissioni non sono obbligatorie e che rientrano quindi nelle dimissioni volontarie. Comunque se questo è fonte di equivoco possiamo eliminare il termine volontarie. Nulla è immodificabile”. Insomma: dalla ministra è arrivata una difesa non troppo convinta degli emendamenti depositati solo 24 ore fa. Che adesso potrebbero essere modificati.

La Russa: “Serve tempo” – L’impressione, dunque, è che i tempi della riforma possano slittare. D’altra parte lo ha riconosciuto lo stesso La Russa, rispondendo al capogruppo d’Italia viva Enrico Borghi: “Se ci saranno necessità di avere tempo per valutare ulteriori eventuali emendamenti ne prenderemo atto e ci prenderemo tutto il tempo necessario. Non mi è sembrato che sia una certezza. Quindi non è che a ogni dichiarazione a un giornalista possiamo stravolgere l’ordine del giorno. Se ci fossero situazioni nuove ne terremo conto anche con eventuali riunioni di capogruppo”. La decisione di presentare gli emendamenti da parte del governo e non dai capigruppo della maggioranza, implica la possibilità per le opposizioni di presentare sub-emendamenti che andranno ad aggiungersi ai 2.000 emendamenti già depositati. La scelta facilita l’ostruzionismo preannunciato da Pd (817 emendamenti) e da Alleanza Verdi sinistra (1.014). Il termine per presentare i sub-emendamenti in Senato, intanto, è slittato a domani mattina alle 10, su richiesta delle stesse opposizioni. Il termine era stato inizialmente fissato ad oggi alle 15.

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