Il mondiale gigantesco del 2026, il primo a 48 squadre e organizzato dalla triade Usa-Canada-Messico, comincia a prendere forma: partenza l’11 giugno allo stadio Azteca (capienza 83 mila spettatori) – quello del famoso 4-3 di Italia-Germania 1970 e del gol della mano de Dios di Diego Armando Maradona per capirci -, arrivo il 19 luglio al MetLife Stadium di East Rutherford (82.500), nel New Jersey, vicino New York, impianto dei New York Giants e dei New York Jets, squadre di football americano. L’ultimo atto della Coppa del Mondo 2026 maturerà dopo 39 giorni vissuti in tre nazioni che compongono, in realtà, un continente. La partita del 19 luglio sarà la numero 104, mentre la finalina del terzo posto andrà in scena a Miami: una sbornia di calcio.

Sedici sedi in pista: undici statunitensi (Dallas, Los Angeles, Kansas City, Filadelfia, Houston, Seattle, Boston, Miami, Atlanta, San Francisco ed East Rutherford), tre messicane (Città del Messico, Guadalajara e Monterrey), due canadesi (Vancouver e Toronto). Dallas reciterà la parte del leone: nella città texana sono previste ben nove gare. E qui si apre un capitolo importante: quello del clima. I cambiamenti dell’ultimo decennio hanno presentato il conto agli Stati Uniti: il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre. Il 96% della popolazione (318 milioni di persone) è stato travolto dalle temperature estreme, 175 città hanno avuto almeno una settimana di calore elevato. In Texas, in particolare, sono stati registrati oltre 38° per 27 giorni di fila: chiusi parchi, musei, zoo e diverse strutture pubbliche.

Il precedente dell’edizione 1994, in cui la finale Brasile-Italia si giocò con una temperatura di 40°, è illuminante. In quel mondiale, ci furono 12 ricoveri in ospedale legati al calore. Dopo 32 anni, la situazione climatica si annuncia decisamente peggiore e fa scattare un duplice allarme: tecnico – giocare a temperature estreme impoverisce i contenuti – e umano, con la Fifa che si assume una bella responsabilità. Nel Regno Unito, nel 2023 è stato pubblicato un report del British Medical Journal: l’autore, Vincent Gouttebarge, direttore medico del sindacato globale dei giocatori FifPro, ha sollevato preoccupazioni sul fatto che le linee guida della Fifa non siano lungimiranti sulla questione climatica. Dove, per essere chiari, il problema delle alte temperature viene aggravato dai fusi orari – ben quattro quelli del torneo 2026 – e dalle differenze ambientali tra una città come Vancouver – Canada occidentale – e una come Monterrey, rimasta nell’album dei ricordi dell’ex bomber inglese Gary Lineker “come il posto più caldo in cui ho giocato, in novanta minuti persi un’infinità di liquidi, non mi reggevo in piedi”.

Il gigantismo del calcio, figlio del business, ha però prevalso quando il 10 gennaio 2017 il Consiglio della Fifa votò all’unanimità l’espansione del mondiale a 48 squadre, nonostante l’opposizione dell’European Club Association, secondo la quale era già stato raggiunto il limite di guardia nel numero di partite annuali e l’ampliamento era dettato dagli interessi del presidente Gianni Infantino per ottenere un ampio consenso elettorale. Il 13 giugno 2018, in occasione del Congresso Fifa di Mosca, la candidatura congiunta di Usa-Canada-Messico s’impose su quella del Marocco: 134 voti contro 65 (quasi l’intera Africa, l’Italia, il Brasile, la Francia, la Turchia e alcuni paesi asiatici). Un’astenuta eccellente: la Spagna.

Il format “multinazioni” ha ormai preso piede. Nel 2030 andrà pure peggio, con sei paesi (Spagna, Portogallo, Marocco, Argentina, Uruguay e Paraguay) e tre continenti: un pasticciaccio per omaggiare il centenario della prima edizione del mondiale (Uruguay 1930), celebrare l’Argentina campione in carica e riportare in pista l’Europa dopo 2022 e 2026. Nel 2034 si tornerà in Asia, in Arabia Saudita: per la seconda volta, si giocherà d’inverno, stravolgendo i maggiori campionati internazionali. Il calcio va dove lo porta il money, ormai dovrebbe essere chiaro anche a chi non vuole crederci.

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