Da Washington arriva quello che potrebbe essere il colpo di grazia alle aspirazioni politiche di Benjamin Netanyahu. Secondo fonti sentite da Axios, il segretario di Stato Antony Blinken ha chiesto al suo team di analisti di studiare la possibilità di un riconoscimento di uno Stato palestinese da parte degli Stati Uniti. Se la linea dovesse essere sposata, gli Usa non eserciteranno il proprio veto sull’ammissione della Palestina come Stato membro delle Nazioni Unite e faranno pressione su altri Paesi, Israele in testa, per arrivare a un riconoscimento largamente condiviso.

Sarebbe una svolta epocale per la storia d’Israele, col principale alleato, l’America, che spinge in maniera decisiva verso la soluzione dei due Stati. Una soluzione che non può comprendere la permanenza di Netanyahu alla guida del Paese, lui che in 30 anni di politica ha sempre dichiarato che uno Stato di Palestina non sarebbe mai sorto se fosse rimasto al governo. Washington, attraverso il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller, risponde anche alle dichiarazioni del ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, che aveva ribadito la volontà di mantenere una presenza militare israeliana nella striscia alla fine della guerra: gli Stati Uniti hanno affrontato con Israele il tema della creazione di una zona cuscinetto e si sono detti contrari a qualsiasi riduzione del territorio della Striscia.

Alla luce delle indiscrezioni, non è forse un caso che rappresentanti di Hamas e Fatah, i due partiti rivali più rilevanti della galassia palestinese, si siano incontrati a Beirut, in Libano, per coordinarsi sulla postura politica da tenere nei prossimi mesi. Analisi premature, comunque, dato che il conflitto a Gaza è ancora in corso, Netanyahu è ancora alla guida dell’esecutivo e la volontà degli alleati è quella di arrivare a uno Stato di Palestina che non contempli, né nella Striscia né in Cisgiordania, un’amministrazione Hamas.

Intanto, però, sembrano fare progressi i colloqui tra Israele e il partito armato palestinese, mediati da Stati Uniti e Paesi arabi, su un cessate il fuoco duraturo che porti al rilascio degli ostaggi israeliani e di centinaia di prigionieri palestinesi nelle carceri di Tel Aviv. Da quanto scrive il Washington Post, Israele ha accettato la proposta avanzata da Stati Uniti, Qatar ed Egitto che prevede sei settimane di tregua in cambio del rilascio dei restanti 109 ostaggi in vita, secondo le stime di Tel Aviv, ai quali dovranno corrispondere anche le liberazioni dei prigionieri palestinesi in rapporto di 3 a 1, oltre a uno spostamento temporaneo delle Idf lontano dalle aree densamente popolate di Gaza e a un aumento significativo degli aiuti umanitari che affluiscono nell’enclave. Una proposta adesso al vaglio dei vertici di Hamas e del Jihad Islamico. Il documento di 2-3 pagine contiene anche un quadro per il futuro della Striscia, con successive pause superiori alle sei settimane durante le quali i prigionieri militari israeliani e i corpi degli ostaggi morti in prigionia verrebbero riconsegnati, nella speranza di giungere poi a un cessate il fuoco permanente.

Per favorire il ritorno delle persone sequestrate, anche il leader del partito d’opposizione Yesh Atid, Yair Lapid, ha dato la propria disponibilità a entrare nel governo di accordo nazionale, come fatto in precedenza da Benny Gantz, per permettere a Netanyahu di prendere la decisione senza il timore di una crisi dell’esecutivo minacciata dagli alleati di estrema destra, con in testa il ministro per la Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir.

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