Continua a crescere la tensione intorno al governo e alle politiche di Benjamin Netanyahu che rifiuta qualsiasi nuova trattativa con Hamas per portare avanti quella che è sempre più la sua personale guerra a Gaza. Una guerra che, sostengono i critici e i familiari dei rapiti, viene condotta sulla pelle degli ostaggi. Così un gruppo di loro, dopo essersi radunato fuori dalla Knesset, ha fatto irruzione nella commissione Finanze del Parlamento israeliano gridando ai deputati “non vi siederete qui mentre loro stanno morendo lì”. Il primo ministro ha dichiarato di avere “una proposta” per un accordo sugli ostaggi, “ma non posso aggiungere altro”.

Sessione interrotta, quindi, con i manifestanti che hanno rinnovato la richiesta di dimissioni del primo ministro, come fatto mentre si trovavano, con una folla ben più numerosa, fuori dalle mura dell’assemblea israeliana portando avanti una protesta che va ormai avanti da settimane, da quando l’esecutivo ha annunciato di non voler più scendere a patti con il partito armato palestinese avvantaggiato, dicono, da ogni stop alla guerra in corso ormai dal 7 ottobre. Una manifestazione che oggi è sfociata anche in scontri tra le persone in piazza e gli agenti di sicurezza, accusati di essere “criminali” che hanno “distrutto il Paese”.

L’avversione di chi protesta nei confronti del governo è testimoniata anche dai sondaggi che vedono il premier staccato quasi 20 punti percentuali dal suo rivale Benny Gantz in caso di nuove elezioni. Questo nonostante proprio Gantz, seppur parte dell’opposizione, abbia accettato a differenza dell’altro leader, Yair Lapid, di entrare in un governo di alleanza nazionale e nel gabinetto di guerra che prende le decisioni sul conflitto a Gaza. Ruolo nel quale, insieme al ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha comunque avuto molti scontri col primo ministro.

Sulle difficoltà del primo ministro giocano anche i laburisti che hanno definito i partiti di maggioranza “traditori che hanno rinunciato agli ostaggi. Il ritorno degli ostaggi non è un dossier, è l’obbligo numero uno del governo”. E hanno presentato una mozione di sfiducia bocciata però dal Parlamento.

A questo proposito, Nbc ha dato notizia dell’ennesimo rifiuto del governo di avviare colloqui con Hamas sugli ostaggi. Funzionari americani, qatarioti ed egiziani continuano a spingere per un accordo che libererebbe i 136 prigionieri che si ritiene siano rimasti a Gaza, molto probabilmente nascosti sottoterra in tunnel o in case private. Secondo funzionari israeliani, in cambio della liberazione degli ostaggi Hamas chiede la cessazione permanente dei combattimenti, il ritiro completo delle forze israeliane da Gaza e il rilascio di un gran numero di prigionieri palestinesi, compresi alcuni responsabili dell’attacco del 7 ottobre. Una richiesta inaccettabile per Tel Aviv.

D’altra parte, prolungare la guerra rappresenta l’unica speranza di sopravvivenza politica per Netanyahu, assediato dalle opposizioni, scaricato da una parte del partito e pressato dagli alleati internazionali nel tentativo di arrivare a una tregua. Non a caso, nei giorni scorsi il suo esecutivo ha fatto sapere che il conflitto durerà “ancora molti mesi”, magari fino alle elezioni americane, nella speranza, sua, di un avvicendamento alla Casa Bianca con il ritorno di Donald Trump, pronto a un sostegno incondizionato in favore dello ‘Stato ebraico‘. Attendere così tanto per la pace, però, potrebbe significare la morte per le persone ancora nella mani di Hamas.

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