Rombo di Tuono non c’è più: Luigi Riva è morto questa sera (lunedì 22 gennaio) all’età di 79 anni nell’ospedale San Michele di Cagliari, dove era stato ricoverato dopo l’infarto che l’aveva colpito a casa sabato sera. Nel primo pomeriggio era stata resa pubblica la notizia del malore e del trasporto d’urgenza nel reparto di cardiologia del nosocomio sardo. Secondo le prime news, Riva avrebbe dovuto sottoporsi a un intervento chirurgico, ma poco prima delle 20 un nuovo attacco di cuore e l’annuncio della sua scomparsa. Gigi Riva non è stato solo il più grande attaccante della storia del nostro calcio, primatista in Nazionale con 35 gol e leader del Cagliari, trascinato alla conquista di uno storico scudetto nel 1970: è stato un simbolo di rigore umano, un personaggio trasversale, un uomo perbene e onesto, amato davvero dagli italiani, non solo dagli sportivi. Un vero hombre vertical, capace di rifiutare più volte le offerte dei grandi club – in particolare la Juventusper non tradire la Sardegna che lo aveva accolto e adottato, ricoprendolo di quell’affetto che un’adolescenza difficile gli aveva negato: la scomparsa del padre Ugo, gli anni tristi in orfanotrofio, la perdita della mamma Edis che per portare a casa qualche soldo era andata a lavorare in una filanda.

Gigi fu cresciuto dalla sorella maggiore Fausta, nata nel 1938 e scomparsa nel 2020. “Anni difficili, la povertà, i lutti e l’umiliazione degli orfanotrofi. Sono cose che ti segnano profondamente, che non puoi dimenticare”, le parole amare ripetute più volte. Riva trovò nel calcio la strada della vita. “Avrei potuto fare il bandito, magari il contrabbandiere, come tanti delle mie parti. Il pallone mi ha salvato”. L’oratorio, poi le giovanili nel Laveno e nel Legnano, dove debuttò in Serie C non ancora diciottenne il 21 ottobre 1962 (3-0 sull’Ivrea e firma sulla terza rete), infine il trasferimento al Cagliari nell’estate 1963. I sardi bruciarono l’interesse del Bologna: un capolavoro del vicepresidente Andrea Arrica che pagò 37 milioni di lire il cartellino di Riva. “Non volevo andare a Cagliari. Una volta, durante una trasferta con la nazionale juniores, sorvolammo l’isola pensai che non mi sarebbe piaciuto vivere da quelle parti. Il primo viaggio in aereo a Cagliari fu un’odissea: cambiai tre aerei. Un anno dopo, ero stato conquistato dalla Sardegna e dal cuore della gente. Un popolo, quello sardo, in sintonia con il mio carattere”.

Una storia straordinaria, quella di Riva e della Sardegna, raccontata nello splendido docufilm di Riccardo Milani Nel nostro cielo un Rombo di Tuono (2022). Tredici stagioni di calcio con la casacca del Cagliari, dal 1963 al 1976, per un totale di 378 presenze e 208 gol, vincendo per tre volte la classifica dei cannonieri. In Nazionale, 42 gare e 35 reti, con la conquista del titolo europeo 1968 e la finale mondiale persa nel 1970 contro il Brasile di Pelé. Un curriculum che avrebbe potuto essere migliore, se Riva non avesse dovuto fare i conti con due gravi infortuni. Il primo il 27 marzo 1967, quando nell’amichevole Italia- Portogallo riportò la frattura del perone della gamba sinistra in uno scontro con il portiere Lopes; il secondo il 31 ottobre 1970, in Austria-Italia, frattura del perone e della tibia della gamba destra. Riva si ritirò dopo un altro malanno grave, uno strappo muscolare riportato il 1° febbraio 1976 in Cagliari-Milan. Non aveva ancora 32 anni: Rombo di Tuono quella domenica disse basta. Riva è stato dirigente del Cagliari e team manager della Nazionale dal 1987 al 2013. Non ha mai lasciato la Sardegna, dove costruì nel tempo la famiglia: i due figli, Mauro e Nicola, sono stati vicino al padre fino all’ultimo. Rombo di Tuono è stato un attaccante immenso: sinistro potente, colpo di testa micidiale, coraggio, senso del gol da fuoriclasse, micidiale nelle punizioni e nei calci di rigore. Un leader. Amava le canzoni di Fabrizio De André, le passeggiate notturne in auto, le sigarette e la sua Sardegna. Da team manager dell’Italia ebbe uno splendido rapporto con Roberto Baggio. L’Italia ha perso una figura epica del nostro sport: la scomparsa di Rombo di Tuono, come lo soprannominò Gianni Brera, fa piangere non solo la sua Sardegna.

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