Se l’avventura alla segreteria del Pd si giocherà anche sul risultato delle prossime elezioni amministrative e soprattutto europee, quella che sembra già finita è invece la ‘chimica’ tra Elly Schlein e Repubblica. Quando venne eletta a capo del Partito Democratico, l’ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna era stata presentata anche dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari come un possibile Rinascimento della sinistra, un vento di novità, generazionale e identitaria, che poteva risollevare un partito fiaccato dalle endemiche divisioni interne e da una inesorabile perdita di consensi. Oggi, con due sfide elettorali importanti alle porte e i sondaggi che la vedono sotto il 20%, il giornale diretto da Maurizio Molinari cambia rotta e sembra scaricare definitivamente la segretaria, stimolato, forse, dalle dichiarazioni del commissario agli Affari Economici dell’Ue, Paolo Gentiloni, che in queste ore ha annunciato l’imminente addio a Bruxelles con l’intento di “tornare in Italia”.

La penna che si rigira nella piaga dello scarso consenso di Schlein è quella di Massimo Giannini che, in un articolo, mette in fila tutte le “occasioni perse” dalla segretaria per dare una svolta al suo mandato. L’ex direttore de La Stampa lo chiarisce subito: “Non dice quasi mai nulla di sbagliato, dai temi sociali ai diritti civili, dal lavoro all’immigrazione. Ma non detta l’agenda, nella tattica e nella strategia”. Ed è così che mette in fila tutti i tentennamenti su temi che da punti di forza, nel caso in cui li avesse sfruttati per attaccare, si sono trasformati in conferme di debolezza: dalle dichiarazioni di Meloni sulle tasse come “pizzo di Stato“, alla vicenda che ha coinvolto il deputato di Fratelli d’Italia, Emanuele Pozzolo, fino ai casi Santanché e Sgarbi. Timori che hanno lasciato ai Cinquestelle, dice, “il primato della ‘Questione morale‘ che fu di Enrico Berlinguer”. Proprio il Movimento e Giuseppe Conte, adesso, sarebbero pronti ad approfittarne. Meloni, continua Giannini, la batterà alle urne, mentre lei “cede il passo a Conte, che se lo prende tutto perché ha un solo obiettivo: incassare un voto in più del Pd, per dimostrare che il federatore o è lui, o non è”.

Chissà se questo slancio del quotidiano nel bocciare così nettamente la segretaria non sia legato a un ritorno di fiamma per l’ex premier Paolo Gentiloni. Nei giorni scorsi, il suo annuncio della fine dell’esperienza europea al termine del suo mandato da commissario e l’imminente ritorno in Italia hanno scatenato le fantasie di osservatori e analisti politici. Cosa andrà a fare Gentiloni dopo aver precisato che non andrà mai in pensione? La poltrona di Schlein è sembrato forse l’obiettivo più realistico a un’altra firma di Repubblica, Francesco Merlo, che nel rispondere alle lettere dei lettori ha prima indicato l’ex presidente del Consiglio come (addirittura!) lo spettro della destra. Strano per un politico sempre nominato ma mai eletto: basta ricordare la débâcle alle primarie per le Comunali di Roma 2012 e l’esperienza a Palazzo Chigi, conseguenza di un semplice passaggio di testimone dopo il suicidio politico di Matteo Renzi con il referendum costituzionale. Fatto sta che, per Merlo, “con Gentiloni, che è l’Italia delle competenze e delle buone maniere, si rafforza non solo l’anima riformista, ma tutto il Pd. Insomma, Gentiloni spaventa i 5stelle, che aspirano a superare il Pd, ad avvelenarlo di populismo e a occuparne il territorio. È dunque ovvio che gli ayatollah a 5 stelle, i guardiani di Conte, si siano già messi ad abbaiare”.

D’altronde, il giornalista di Repubblica spiega bene di non essere “mai stato un fan delle primarie che, in passato, sono state addirittura truccate e taroccate, specie al sud, dove, saldando il moderno e l’arcaico in una ganga compattissima, hanno alimentato l’epica malandrina di qualche ‘guappo democratico’”. Anche perché, visti i precedenti, Gentiloni scalda più i cuori degli editorialisti che quelli degli elettori.

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