Oltre agli elevatissimi costi umani, c’è un altro aspetto preoccupante, seppur fondamentalmente ignorato, dei massicci e continui bombardamenti israeliani su Gaza. Secondo uno studio che il quotidiano inglese Guardian pubblica in esclusiva, le emissioni di Co2 causate dagli attacchi stanno avendo un grave effetto sulla crisi climatica globale. In due mesi sono state prodotte 281mila tonnellate di Co2, per il 99% riconducibili ai raid israeliani, superando così le emissioni annue di una ventina tra i paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. La ricerca spiega per di più che si tratta di stime estremamente conservative, da cui sono escluse numerose voci di difficile calcolo (ad esempio le emissioni di gas metano). La quantità reale di emissioni è quindi verosimilmente molto superiore.

Considerando la valutazione più conservativa i gas nocivi prodotti nel cielo di Gaza equivalgono sinora alla combustione di 150mila tonnellate di carbone. Quasi la metà della Co2 immessa nell’atmosfera viene dagli aerei cargo statunitensi che hanno rifornito continuamente Israele di armi, bombe e munizioni. Dall’inizio dei bombardamenti fino allo scorso 4 dicembre, almeno 200 voli americani hanno consegnato a Israele 10mila tonnellate di equipaggiamento militare. I razzi di Hamas lanciati su Israele hanno invece generato circa 713 tonnellate di Co2 , che equivalgono a circa 300 tonnellate di carbone, sottolineando l’asimmetria degli apparati bellici di entrambe le parti.

Lo studio viene diffuso mentre. a livello internazionale, si è cominciato a chiedere anche alle forze armate una maggiore responsabilità nelle emissioni di gas serra. Difficile conciliare due istanze come la guerra e la difesa dell’ambiente, tuttavia va ricordato che il peso delle attività belliche sull’inquinamento globale sia tutt’altro che trascurabile, essendo responsabili il 5,5% delle emissioni. “L’eccezionalismo ambientale dei militari consente loro di inquinare impunemente, come se le emissioni di carbonio emesse dai loro carri armati e dai loro aerei da combattimento non contassero. Tutto questo deve finire, per affrontare la crisi climatica abbiamo bisogno di responsabilità”, ha detto al Guardian Benjamin Neimark, della Queen Mary, University of London e uno degli autori dello studio.

La ricerca calcola anche che le emissioni prodotte per la ricostruzione degli oltre 100mila edifici sinora colpiti da bombardamenti, porteranno nell’atmosfera almeno 30 milioni di tonnellate di gas nocivi. Una quota pari alle emissioni annuali di Co2 di un paese come la Nuova Zelanda. Le conseguenze climatiche, tra cui l’innalzamento del livello del mare, la siccità e il caldo estremo, sono già una delle criticità del territorio di Gaza e della Palestina. I bombardamenti hanno esasperato i fattori di crisi, gran parte dei terreni agricoli, delle infrastrutture energetiche e idriche sono state distrutte o inquinate, con conseguenze sanitarie devastanti probabilmente per i decenni a venire, hanno avvertito gli esperti. Tra il 36% e il 45% degli edifici di Gaza – case, scuole, moschee, ospedali, negozi – sono stati distrutti o danneggiati, e l’edilizia è uno dei principali motori del riscaldamento globale.

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