Se non è il Covid è l’influenza a fare parlare di sé. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nella cinquantunesima settimana del 2023 i casi stimati di sindrome simil-influenzale, rapportati all’intera popolazione italiana, sono circa 1.013.000, per un totale di circa 5.698.000 casi a partire dall’inizio della sorveglianza. Si aggiungono poi i malati di Covid: 40.990 nuovi casi positivi la scorsa settimana. Ma si tratta ovviamente di numeri sottostimati, visto che di tamponi se ne fanno sempre meno (nell’ultima rilevazione, se ne contano appena 226.649, -30% rispetto a 7 giorni prima). Il dato più significativo che sembra emergere è che nel 30% dei casi la tosse può durare per mesi, assumendo quel tipo di sintomatologia con strascichi che fanno ricordare quelli del long Covid.

Uno studio della Queen Mary University di Londra, pubblicato sulla rivista EClinicalMedicine edita da The Lancet svela che si possono manifestare sintomi a lungo termine anche dopo infezioni respiratorie acute che risultano negative al test Covid-19. Tra i sintomi più comuni di quella che in inglese è stata chiamata “long cold” (in italiano semplificato in “long-raffreddore”) vi sono tosse, mal di stomaco e diarrea a distanza di oltre 4 settimane dall’infezione iniziale. I risultati suggeriscono che potrebbero esserci impatti a lungo termine, attualmente non riconosciuti, sulla salute a seguito di infezioni respiratorie acute non Covid, come raffreddori, influenza o polmonite.

La ricerca
La ricerca ha confrontato la prevalenza dei sintomi a lungo termine dopo un episodio di Covid rispetto a un’altra infezione respiratoria acuta, analizzando i dati di 10.171 adulti. “Abbiamo indagato 16 sintomi diversi segnalati nel long Covid”, ha spiegato all’Ansa l’autrice Giulia Vivaldi: tosse eccessiva, disturbi del sonno, di memoria, difficoltà di concentrazione, dolore muscolare o articolare, disturbi di gusto o olfatto, diarrea, dolore addominale, cambiamenti nella voce, perdita di capelli, battito cardiaco accelerato insolito, svenimenti o vertigini, sudorazione insolita, mancanza di respiro, ansia o depressione e affaticamento”. Il tempo medio trascorso dall’infezione era diverso tra i due gruppi: i guariti dal Covid segnalavano i loro sintomi in media 44 settimane dopo l’infezione, mentre le persone con infezioni non Covid segnalavano i loro sintomi in media 11 settimane dopo l’infezione. “Per ora”, conclude, “non abbiamo prove che questi ‘lunghi raffreddori’ abbiano gravità e durata simili al long Covid “.

È ancora presto per tirare le somme
“Per quanto riguarda la durata dei postumi dell’influenza, di questa ampia sintomatologia riportata dalla ricerca, aspetto di leggere ulteriori conferme”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica. “Di fatto i virus influenzali che stanno circolando sono l’A-H1N1 e l’A-H3N2, ma occorre sottolineare che sotto il termine di influenza ci possono essere altre patologie, a parte il Covid, che andrebbero classificate in altre categorie”.

Professor Cauda, altre parole, dovremmo essere più cauti prima di parlare di particolare aggressività di questa influenza e di sintomi postumi che persistono nel tempo?
“È possibile che dopo anni in cui c’è stata una scarsa circolazione di virus influenzali dovuta al Covid, ci siano oggi più persone meno ‘pronte’ a rispondere al virus, avendo un sistema immunitario meno preparato. In ogni caso, come detto, credo che sia ancora troppo presto per tirare delle conclusioni”.

Quanti sono in media i casi di influenza in Italia ogni anno?
“In genere abbiamo 8 milioni di casi e circa 8.000 decessi legati direttamente o indirettamente all’influenza”.

Quali consigli dare per evitare complicanze o affollare inutilmente i pronto soccorso?
“L’intervento principe è ancora quello di vaccinarsi, soprattutto in caso di persone fragili per età e malattie preesistenti; in altre situazioni, nei soggetti giovani e sani, ai primi sintomi di febbre è inutile correre al pronto soccorso, piuttosto rivolgersi ai medici di medicina generale. Parliamo di una patologia, l’influenza, che generalmente dura 5-7 giorni. Non è un’influenza di tipo pandemico, come fu quella del 2009. Per il resto, è sempre buona norma lavarsi bene le mani e, per i soggetti più fragili considerar in alcuni casi l’uso della mascherina se si trovano in luoghi affollati. Per tutti gli altri, usare il buon senso ed evitare di avere contatti diretti con persone fragili se si hanno sintomi influenzali”.

Preparare il sistema immunitario
Tra le strategie più efficaci per fronteggiare anche le malattie infettive, come l’influenza, c’è quella di rinforzare il sistema immunitario, agendo per tempo sullo stile di vita. “Grandi studi epidemiologici che seguono centinaia di migliaia di persone, in Europa e negli Stati Uniti d’America, di cui conosciamo le abitudini alimentari, hanno dimostrato che chi ha un’alimentazione ricca di fibre vegetali, soprattutto di cereali integrali, muore meno, oltre che di diabete, di infarto e di cancro, anche di malattie infettive”, spiega il dottor Franco Berrino, epidemiologi di fama internazionale e già direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto tumori di Milano. “Già 50 grammi di cereali integrali al giorno”, continua Berrino, riducono significativamente la mortalità per malattie infettive e 90 grammi al giorno la riducono del 25%. È sufficiente mangiare pane integrale invece di pane bianco, riso integrale invece di riso bianco, oppure zuppe di orzo o farro decorticato, o sorgo, miglio, grano saraceno”.

Quindi molte fibre?
“Sì, le fibre fanno funzionare bene l’intestino, nutrono i microbi buoni che vivono nell’intestino e lo mantengono in buona salute, e se l’intestino è sano anche il sistema immunitario è sano e ci difende dalle infezioni. E ancora, i grandi studi epidemiologici mostrano anche che la mortalità per malattie infettive (oltre che per diabete, infarto e cancro) è associata al consumo di carne. Evitiamo quindi in particolare salumi e carni rosse”.

Ci sono altri “nemici” da considerare?
“Anche dallo zucchero sarebbe bene stare lontani. Già 50 anni fa era stato osservato che lo zucchero riduceva la fagocitosi, la capacità dei globuli bianchi di inglobare e distruggere batteri. È noto, inoltre, che il carico glicemico della dieta aumenta lo stato infiammatorio. Meglio evitare, quindi, i prodotti industriali a base di cereali raffinati e patate. Ricordiamo poi che i virus amano il freddo, per cui difendiamoci dal freddo, non mangiamo d’inverno gelati e frutti tropicali”.

Altri alleati contro l’influenza?
“Ottima cosa è anche consumare probiotici con lattobacilli e bifidobatteri: alcuni studi sugli animali di laboratorio e sull’uomo ne hanno evidenziato l’effetto protettivo e curativo sull’influenza. Interessanti sono alcune fitoterapie, in particolare con echinacea, che può ridurre il rischio di polmonite in chi ha l’influenza (l’echinacea ridurrebbe l’adesione dei batteri alle cellule della mucosa bronchiale. Infine, diversi studi hanno riscontrato che un moderato esercizio fisico riduce il rischio di contrarre l’influenza, mentre esercizi intensi potrebbero aumentare la suscettibilità. Facciamo quindi passeggiate e un po’ di esercizi aerobici, ma senza esagerare”.

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