Non solo il Piano di adattamento al cambiamento climatico dell’Italia approvato a fine anno, dopo una lunga attesa, fornisce un quadro di indirizzo senza alcun vincolo ma, nonostante illustri scenari climatici anche drammatici, si basa su un approccio ‘soft’. La maggior parte delle 361 azioni previste, infatti, consiste in interventi non strutturali. Alcuni esempi? Campagne di informazione o sviluppo di processi organizzativi e partecipativi. Solo il 24% delle misure, invece, sono azioni i cui effetti sono tangibili e sono definite green o grey. Le prime propongono soluzioni nature based, consistenti cioè nell’utilizzo o nella gestione sostenibile di ‘servizi naturali’, inclusi quelli ecosistemici, mentre le azioni grey sono quelle relative al miglioramento e all’adeguamento di impianti e infrastrutture. Nel settore agricolo, ad esempio, tra le azioni soft c’è “l’adozione di pratiche agricole che concorrono a migliorare la gestione del suolo”, mentre tra quelle grey ci sono investimenti per il miglioramento delle reti irrigue a diretto servizio delle aziende agricole, per ottimizzare l’uso della risorsa idrica ed eliminare o ridurre le perdite. E se ad alcuni settori si dedica più attenzione, come per quello delle foreste e delle zone costiere, per altri altrettanto strategici (e a rischio) si prevedono meno interventi, pochissimi quelli strutturali. È il caso del turismo, mentre per i settori della salute e del dissesto idrogeologico le misure sono solo ‘soft’.

L’analisi del Pnacc: 361 misure per 18 settori La buona notizia è che l’approvazione, di cui il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha dato notizia il 2 gennaio 2024, è arrivata il 21 dicembre 2023 con il decreto 434. “Ricordiamo al ministro dell’ambiente e al Governo Meloni che per attuare il Pncc sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie – ha commentato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – ad oggi ancora assenti e non previste neanche nell’ultima legge di bilancio, altrimenti il rischio è che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta”. In 106 pagine, escluse quelle degli allegati, il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici illustra il quadro giuridico di riferimento e quello climatico, per poi passare in rassegna gli impatti dei cambiamenti climatici in Italia, con le diverse vulnerabilità, settore per settore. Ma è nel quarto capitolo che si arriva al cuore del documento, con la descrizione di ‘Misure e azioni del Pnacc’. Il database delle azioni di adattamento, nell’allegato IV, riporta l’insieme delle azioni settoriali individuate dal gruppo multidisciplinare di esperti che ha collaborato all’elaborazione del documento nel 2018, ma è stato oggetto di revisione dopo il recepimento delle osservazioni arrivate nel corso della Valutazione ambientale strategica. Le 361 misure messe in campo sono divise per 18 settori: acquacoltura, agricoltura, dissesto geologico, idrologico e idraulico, desertificazione, ecosistemi delle acque interne e di transizione, ecosistemi marini, energia, ecosistemi terrestri, foreste, industrie e infrastrutture pericolose, insediamenti urbani, patrimonio culturale, pesca marittima, risorse idriche, salute, trasporti, turismo, zone costiere. Il 76,7% delle azioni dovrebbe avere effetti su più settori contemporaneamente. Le misure sono suddivise anche in due tipologie principali: azioni di tipo A (soft) e di tipo B (green o grey). Le azioni soft non richiedono interventi strutturali e materiali diretti, anche se servono a facilitare questi ultimi. Le azioni grey e green, invece, hanno entrambe una componente di materialità e di intervento strutturale.

Nel 76% dei casi si tratta di azioni ‘soft’ La maggior parte delle azioni sono di tipo non strutturale (soft): 274 su 361, pari al 76% del totale, distribuite in tutti i settori. Le azioni green si concentrano soprattutto nel settore foreste e in quello delle zone costiere, mentre quelle grey riguardano soprattutto i settori dell’energia e, anche in questo caso, quello delle zone costiere. Gli interventi strutturali sono, in totale, 87: le azioni basate su un approccio ecosistemico (green) sono 46 (17 solo nel settore delle foreste, 10 nel settore delle zone costiere), pari al 13% del totale, mentre quelle infrastrutturali e tecnologiche (grey) sono 41, l’11% del totale (16 riguardano il settore energia, 9 quello delle zone costiere). Come si sottolinea nel piano stesso, anche se le azioni soft tendono tutte ad essere urgenti, dovendo precedere (e facilitare) le azioni green e grey, è pur vero che i criteri sui quali è basato il giudizio complessivo delle azioni “risultano di più facile applicazione alle azioni grey e green rispetto a quelle soft”, che portano a effetti meno tangibili.

I nodi, settore per settore Analizzando settore per settore, quello in cui sono previste più misure è il settore delle foreste (35 misure, 15 soft, 17 green e 3 grey). Al secondo posto, quello che riguarda il dissesto geologico, idrogeologico e idraulico. Con una differenza: le 29 misure previste sono tutte soft, in uno dei settori più a rischio del Paese. Basti pensare che tra il 1972 e il 2021 frane e inondazioni hanno provocato 1.610 morti (di cui 42 dispersi), 1.875 feriti e oltre 300mila tra evacuati e senza tetto. In Italia, il 94% dei Comuni è a rischio frane, alluvioni ed erosione. Al terzo posto, con 28 misure ciascuno, i settori dell’agricoltura (23 soft, 4 grey e una green) e dell’energia (16 grey e 12 soft). Alle risorse idriche, il piano dedica 27 misure, di cui 24 soft. Sono 26, invece, quelle previste per il settore delle zone costiere, in cui gli interventi sono presenti in modo equilibrato: 10 green, 9 grey e 7 soft. Tre esempi: implementazione di sistemi di allerta (soft), realizzazione di aree di espansione e stoccaggio di acque in caso di inondazioni (green), costruzione di strutture più resilienti (grey). D’altronde lo stesso Pnacc racconta che nei prossimi 40 anni le temperature del mare aumenteranno anche di oltre 2 gradi centigradi, così come crescerà il livello delle acque fino a raggiungere più 19 centimetri in alcune aree marine. Le anomalie di temperatura vanno dagli 1,9 gradi in più del mar Tirreno ai 2,3 gradi per il mar Adriatico (anche 2,6 gradi in inverno e in primavera). Il livello del mare si alzerà di 16 centimetri nell’Adriatico, 17 centimetri nel mar Jonio e nel canale di Sicilia e 19 per il mar Tirreno, il mar Ligure e il mar Mediterraneo occidentale.

I settori strategici più trascurati: dalla salute al turismo Venti le misure (tutte soft) previste per il settore della salute, anche se diversi studi indicano quanto pesanti saranno gli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute dei cittadini e sulle strutture ospedaliere. Secondo una recente analisi di Xdi (Cross Dependency Analysis), pubblicata in occasione della giornata che la Cop 28 di Dubai ha dedicato alla salute, solo in Italia più di 130 ospedali o strutture sanitarie sarebbero ad alto rischio di danni da eventi meteorologici estremi entro fine secolo se le emissioni resteranno elevate. L’altra faccia della medaglia è legata alla salute dei cittadini, messa a rischio non solo da inondazioni, tempeste e frane, ma anche da fenomeni come quello delle ‘isole di calore urbane (Urban Heat Island)’, che consiste nel surriscaldamento del centro di un’area urbana, con temperature che aumentano di circa rispetto a quelle periferiche o alle zone rurali circostanti. Non riguarda solo l’Italia, perché in estate nelle città europee quasi 7mila persone muoiono prematuramente a causa del caldo legato alle ‘isole di calore’, secondo uno studio coordinato dal Barcelona Institute for Global Health. Fa riflettere che siano previste 14 misure per il settore delle industrie e delle infrastrutture pericolose e, ancora di più, il fatto che undici di queste siano soft. Otto (e tutti soft) gli interventi sulla desertificazione (uno in meno rispetto all’acquacoltura), che pure è un tallone d’Achille della Penisola. E poi ci sono le dieci misure previste per il turismo (ma 6 sono soft) che, secondo studi nazionali e internazionali, è uno dei settori maggiormente a rischio. Hanno toccato un nervo scoperto, la scorsa estate, le parole del ministro della Sanità tedesco Karl Lauterbach, secondo cui alcune mete turistiche italiane “non avranno futuro a lungo termine”. L’effetto più lampante del cambiamento climatico sul settore riguarda il turismo invernale. Secondo l’Ocse, con un altro grado in più nessuna delle stazioni sciistiche del Friuli-Venezia Giulia avrebbe una copertura di neve sufficiente a garantire la stagione. Lo stesso accadrebbe al 33%, 32% e 26% delle stazioni di Lombardia, Trentino e Piemonte. Al riguardo, è interessante che il piano preveda – tra le misure ‘grey’ – quella di utilizzare i soli impianti di innevamento artificiale già esistenti, con la loto progressiva dismissione a favore di pratiche più sostenibili. C’è da chiedersi cosa ne pensi la ministra Daniela Santanché.

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