Il 2023 si sta chiudendo con alcune apparenti certezze: che l’uso di missili e droni suicidi sui centri urbani possa cambiare il corso della guerra, che il presidente russo Vladimir Putin avendo rialzato la testa si possa permettere di incontrare i leader stranieri, che la guerra russo-ucraina stia scomparendo dai radar dei media e che Ucraina e Russia prima o poi dovranno dialogare direttamente, come non succede dall’incontro di Antalya dell’11-14 marzo 2022.

Attacchi inutili – Il recente intensificarsi degli attacchi missilistici russi sulle città ucraine e di Kiev contro gli oblast russi attorno ai confini ucraini, anche se causa pesanti perdite di civili e solleva pesanti interrogativi etici e di diritto internazionale, non ha un reale impatto tattico sul conflitto, ancor meno strategico. L’uso in grandi quantità di bombe sganciate da aerei è quello che può influenzare le operazioni belliche; viceversa, gli attacchi contro i condomini e i centri commerciali sono messaggi puramente politici che poco cambiano sul terreno. Le infrastrutture energetiche possono essere riparate in poche ore, le truppe, le munizioni e gli equipaggiamenti poche volte sono concentrate al punto di costituire un bersaglio. Insomma, missili balistici, di crociera e ipersonici o raggiungono obiettivi militari o fanno solo rumore come orrendi botti. L’unica vera novità di queste ore è che il pesante bombardamento ucraino su Belgorod suona come un avvertimento: la stessa Mosca è violabile.

Putin viaggia di più? No davvero! – Il capo del Cremlino nel 2022 – dopo l’invasione dell’Ucraina – aveva fatto otto viaggi internazionali, mentre nell’anno che si sta chiudendo ne ha fatti solo sei – con un rapporto tra visite ufficiali e summit sempre 50-50 -, vale a dire un quarto in meno, pur avendo trascorso lo stesso numero di giorni fuori dalla Russia: sempre undici. Non ha potuto partecipare di persona – nel 2023 così come l’anno precedente – ai vertici di ASEAN, APEC, G20 e all’assemblea generale delle Nazioni Unite, mentre si è collegato solo in videoconferenza al summit dei BRICS (col Sud Africa “amico” pronto ad arrestarlo e a consegnarlo a un tribunale internazionale se si fosse presentato) e alla Shanghai Cooperation Organization, di cui Mosca è pure uno dei due fondatori. Prima della pandemia non aveva mai visitato meno di venti paesi l’anno. Il fatto è che il 2023 si è concluso con le visite “trionfali” – per motivi legati agli scambi petroliferi – in Arabia Saudita ed Emirati Arabi, che hanno gettato fumo negli occhi degli osservatori e hanno impedito al Cremlino di aver dimezzato le visite all’estero.

Quel “girellone” di Kiev – D’altra parte, il presidente ucraino Volodymir Zelensky non aveva mai lasciato l’Ucraina tra l’invasione russa il 24 febbraio 2022 e la visita a Washington il 19 dicembre successivo. Nel corso del 2023 ha compiuto più di trenta viaggi all’estero, venendo visitato a Kiev da circa sessanta premier e capi di stato negli ultimi due anni, a partire dalla prima visita dei primi ministri di Polonia, Repubblica ceca e Slovenia quando i tank russi erano alle porte di Kiev il 15 marzo 2022.

Meglio che se ne parli o no? – Allo stesso tempo alla fine del 2023 abbiamo la certezza che la guerra in Ucraina sia sparita dalle prime pagine dei giornali e non sia più una tendenza sui social media, un po’ come se non importasse più a nessuno. Se è vero che Zelensky e la sua mimetica non fanno più notizia, è altrettanto vero che la guerra tra Hamas e Israele ha impiegato ancora meno tempo a sparire dai trend. Quindi, non importa più a nessuno dei combattimenti in Ucraina? A ben vedere, non è proprio così: semplicemente, nessuno – tranne i politici ucraini e i propagandisti del Cremlino – ha più interesse a tenere le telecamere di tutto il mondo puntate su scontri, forniture e piani di attacco, dal momento che così facendo si è massimizzata la capacità di pressione politica e mediatica da parte dei gruppi – filorussi o meno – contrari all’invio di armi o in generale molto proni a far finire la guerra guerreggiata, anche a danno dell’integrità territoriale ucraina e senza prospettive di una pace di lungo periodo.

Una guerra in stallo è noiosa – Poi c’è il fatto che il conflitto, che il comandante militare ucraino Valery Zaluzhny ha definito in una fase di stallo e logorante per entrambi i paesi – curiosamente, attirandosi le critiche sia del suo presidente sia del Cremlino – è decisamente priva di notizie importanti da trasmettere tutti i giorni. Rapide avanzate di colonne di carri, conquiste di città dopo settimane – e non anni – di combattimenti, resistenza eroica in fortezze – e non scontri anonimi nel fango -, milioni di civili in fuga o sotto attacchi di missili – e non un inutile stillicidio di droni e razzi quasi sempre abbattuti – e soprattutto personalità mediaticamente vendibilissime – come era Prigozhin – senza sforzo entrano nelle case come notizie e chiamano ricerche dei curiosi su Internet. Ma a chi interessa il susseguirsi di imboscate – tutte uguali tra di loro – a pattuglie di soldati? Chi è più in grado di ricordarsi un attacco missilistico russo su un condominio o uno ucraino a una base russa dopo solo poche ore dall’evento? Chi capisce quanto sia strategicamente importante che i bombardieri del Cremlino cadano come mosche o che un villaggio del Donbass finisca sotto il controllo russo?

Davvero “devono” fare la pace? – La guerra, arrivata in stallo, “per forza” deve portare a una soluzione diplomatica? Ci piace pensarlo, allo stesso modo in cui ci auguriamo che un conoscente gravemente ammalato smetta di soffrire (e di vivere) presto, senza curarsi né della sua opinione né della volontà dei suoi cari di continuare ad assisterlo. Importa che non ci passi l’appetito e non ci sentiamo obbligati ad avere il viso triste per il solo fatto di vederlo ammalato!

In qualche modo parlano – Le due parti in guerra dialogano molto più di quello che immaginiamo: il fatto che sciami di droni e missili non si siano abbattuti sulle sedi dei parlamenti e non siano andate a caccia dei leader in tutti questi mesi la dice lunga. Allo stesso modo, la relativa sicurezza del trasporto ferroviario di merci e persone in entrambi i paesi è tale perché così hanno stabilito, perché lo stesso non è successo né al trasporto aereo, né alla navigazione sul Mar Nero, né alle infrastrutture industriali.

È inutile farsi illusioni – La diplomazia potrà dire la sua nel 2024, come tanti auspicano? È inutile nascondersi dietro un dito: lo potrà fare solo dopo che le altre soluzioni – tutte militari – saranno state sperimentate. Perché non riempi i magazzini di droni e hangar sotterranei di aerei, non ripari e tieni al sicuro centinaio di carri armati e veicoli blindati, non addestri o proponi di mobilitare centinaia di migliaia di cittadini e volontari se non per tentare di dare l’ultima “spallata” per poi sederti ringalluzzito a un tavolo di pace o accettare un armistizio proposto – direttamente o per interposta persona – da un nemico in condizioni di inferiorità. Insomma, perché il dialogo metta a tacere le armi è necessario che il fragore delle armi esca dalle trincee e le linee del fronte tornino a spostarsi in modo strategicamente sensibile. Se no, entrambe le parti sanno che dovranno stringere la cinghia e far volare centinaia di droni, che possono essere prodotti anche nei garage, per anni e anni. Chi pensa che Kiev si fermerà prima o poi per mancanza di mezzi, dimentica che i fornitori non sono solo gli americani ma soprattutto ignora la lezione afghana: si può combattere anche con pochissimi mezzi se ci si vuol difendere.

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