I Boston Celtics adesso fanno paura
Che bella squadra che sono i Boston Celtics, nonostante le perplessità dopo i cambiamenti effettuati dalla dirigenza durante la scorsa estate. Soprattutto perché – nei playoff del 2023 – avevano sì perso le Finali di Conference contro i Miami Heat, però davvero in extremis (in Gara 7, dove tutto può succedere). Erano andati corti per la Finale NBA, da favoriti, certo, ma non di tantissimo. Cosa sarebbe successo se i Bulls di Michael Jordan e Scottie Pippen – prima dei tre Titoli – avessero rinunciato ad alcuni pezzi pregiati a seguito delle brucianti (e ripetute) sconfitte in Finale di Conference contro i Detroit Pistons (i “bad boys”) di Isiah Thomas e Joe Dumars? Quindi, via (direzione Memphis) un’ex bandiera come Marcus Smart, dinamo sempre carica a mille, agonista, difensore sulla palla come ce ne sono pochi, molto migliorato anche in attacco. A Portland, invece, viene spedito Malcom Brogdon, la quintessenza della point-guard solida fino allo sfinimento. Dentro Kristaps Porzingis (reduce da un’ottima stagione ai Wizards) e Jrue Holiday dai Milwaukee Bucks. Hanno avuto ragione loro. Senza dubbio. Si, perché i Celtics si fanno guardare, eccome, per capacità di esecuzione e rassicurante equilibrio sia difensivo che offensivo. In ottica anello, fanno parecchio paura: sono primi ad Est con l’80% di vittorie. Le squadre di questo tipo fanno sempre paura. Il quintetto è costruito per non dare mai punti di riferimento agli avversari. Hanno una stella di prima grandezza (candidato MVP) in Jayson Tatum che – seppure ancora senza un vero patented shot nella bisaccia – è in grado di fare male tutte le volte che si allarga per ricevere sulla linea da tre. Ha tiro, fisico e tecnica per rappresentare una minaccia in qualsiasi momento della partita e da qualsiasi posizione.

Jaylen Brown, invece, è un All-Star con capacità realizzative fuori dal comune. Certo, direte voi, rimane uno slasher perché da fuori non arriva (al momento) nemmeno al 34% e non ha ancora fatto vedere miglioramenti convincenti nel trattamento della palla. Però difende forte in uno contro uno e ha la personalità giusta per prendersi le proprie responsabilità senza guardare in faccia nessuno. È un ottimo secondo violino. Poi c’è Holiday, che è davvero un lusso, anche a questi livelli, e la sta mettendo da tre con il 41.9%, oltre ad attaccare le difese dal palleggio sui ribaltamenti. Ah, non dimentichiamo Derrik White, l’ottimo Derrick White, che è il motivo per cui i Celtics (vista la sua crescita negli scorsi playoff) hanno fatto andar via a cuor leggero due satanassi nello stesso ruolo come Smart e Brogdon. La squadra tira tanto da tre, quindi rischia di andare fuori giri nelle serate storte. Ma la verità è che mediamente i tiri che prende Boston sono costruiti in modo competente. È questa la loro killer application. Raramente sono conclusioni forzate o fuori dal sistema. E se hai questo tipo di approccio, se trovi gli spazi giusti in attacco, se giochi nel flusso con pazienza (e hai tiratori), prima o poi la palla va dentro (come nella vittoria di Natale contro i Lakers).

Ma i Celtics non sono una squadra monodimensionale. Per carità. Minacciano il perimetro, aprono il campo, creano spazi, e poi ne approfittano con tagli dal lato debole, roll, ed entrate al ferro dal palleggio. Poi c’è l’elemento Porzingis, che fa capire cosa vuol dire giocare in NBA nel 2023 (quasi 2024…). Un centro di 2.20 con quelle mani, con quella capacità di tirare da fuori con i piedi per terra, costringe il lungo avversario a seguirlo sul perimetro. Non puoi “battezzare” il lettone, non puoi rimanere a coprire dentro la lunetta come fa – per esempio – chiunque è chiamato a difendere alto su gente come Zion Williamson, Ben Simmons o Rudy Gobert. E quindi Tatum & co. hanno potenzialmente praterie per battere il proprio marcatore sul primo passo, con il lungo di turno distante da canestro. Poi c’è la difesa, con cui si vincono i titoli. E pure in questa situazione, i biancoverdi sono messi benissimo. Sul perimetro, sono in grado di cambiare sempre e comunque sui pick-and-roll senza andare (quasi) mai sotto fisicamente e garantire la stessa mobilità laterale negli scivolamenti difensivi anche contro i palleggiatori. Porzingis ha stazza e braccia lunghe per intimidire sotto il tabellone nelle incursioni avversarie.

In più, la squadra è in grado di difendere con buona proprietà anche sul lato debole, perché ruotano bene. Difetti? Qualcuno, certo. Non convince al 100% la panchina, dove forse manca un vero realizzatore dal palleggio alla Lou Williams (che purtroppo si è ritirato, ma è per dare l’idea…), in grado di entrare e creare istantaneamente per sè (molto) e per gli altri, alleggerendo le spalle dei cannonieri in quintetto. Payton Pritchard e Sam Hauser, per dire, sono degli ottimi tiratori da fuori, ma segnano principalmente in spot-up. Hanno bisogno di essere serviti da uno scarico sul perimetro, di essere messi in ritmo. Poi c’è Al Horford, veterano di mille battaglie. Visto contro i Lakers fare un close-out sul lato debole come se avesse 20 anni e nell’azione successiva servire un taglio del piccolo sulla riga di fondo come uno che a questo gioco ci sa davvero giocare. Ma non ha 20 anni, ne ha invece 37. Garantisce minuti di qualità, ma non può essere il perno della second unit. In ogni caso, occhio ai Celtics. Sarebbe una vera sorpresa se non continuassero a fare così bene.

Good-bye (?), Mark Cuban
Dopo ben 23 anni, Mark Cuban non avrà più la maggioranza dei Dallas Mavericks. Ha venduto alle famiglie di Miriam Adelson e Sivan e Patrick Dumont. Si è tenuto il 27%, supervisionerà le attività legate al basket, ma non sarà più lui a prendere le decisioni finali. Vulcanico, polemico, eccentrico, appassionato. Nel 2000, Cuban prese una franchigia ritenuta tra gli zimbelli della lega (soprattutto nella prima metà degli anni ’90) e la trasformò anno dopo anno in una squadra da titolo. Era passata l’epoca di Jason Kidd (il primo Jason Kidd…), Jimmy Jackson e Jamal Mashburn, esperimento fallito, ma sulla carta tre tra i più talentuosi e promettenti giovani della NBA. Un mezzo disastro, considerate le aspettative e le scelte alte avute ai Draft di quegli anni. Ha raccolto il meglio da Dirk Nowitzki, considerato uno dei migliori giocatori della storia, sicuramente il miglior europeo di sempre a detta di molti, che ha rappresentato il giocatore chiave nel periodo della rinascita, delle vittorie, ridando smalto a un marchio non proprio ritenuto “attrattivo” per i ragazzini in cerca di merchandising della NBA. Ai media, Cuban, ha dichiarato che continuerà a gestire il “day by day” della squadra. Solo con un conto in banca enormemente (ancora) più pingue. Vedremo cosa significherà. Nel frattempo, sembra finita un’epoca.

That’s all Folks!

Alla prossima settimana. Buon inizio 2024.

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