“Salvini si deve aspettare reazioni molto dure”. Esordisce così Enza Lojacono, una dei cittadini messinesi che subiranno l’esproprio dallo Stato per la costruzione del ponte sullo Stretto. Sulla riva siciliana, nel quartiere di Torre Faro, gli abitanti vivono con l’incubo di essere cacciati dalle proprie case. È lì, infatti, che dovrebbe sorgere il pilastro siciliano della grande opera: “Un incubo che dura da anni a fasi alterne”, si sfoga Lojacono. “Noi siamo qui da più di cent’anni, questa è una delle più belle zone residenziali della città e non possiamo neanche vendere, al massimo svendere, perché viviamo con questa spada di Damocle, non dallo scorso maggio ma da decenni”, racconta. Una situazione di grave incertezza per chi è stato sottoposto al vincolo 11 anni fa, poco prima della rinuncia al progetto da parte del governo Monti nel 2012. Il piano espropri, infatti, è fermo a quell’anno, ma nel frattempo sul territorio molto è cambiato: ex terreni agricoli sono diventati edifici o attività commerciali. In alcuni casi, poi, su quelle aree sono stati previsti progetti del Pnrr, con il rischio di veder bloccati i fondi già approvati.

Le incognite – Così, mentre il governo annuncia un rapido avvio dei lavori, migliaia di famiglie stanno per iniziare l’anno senza sapere se dovranno lasciare le proprie abitazioni né quando: “E noi ce ne dovremmo andare da qui in sei mesi?”, si chiede Lojacono. Mentre la relazione che aggiorna il progetto del ponte, presentata a settembre, non è stata ancora resa pubblica. Tra i tanti dubbi ci sono alcune certezze (negative): in questi anni lo Stato ha già pagato per risarcire i danni dei primi lavori fatti sul lato calabrese e per risarcire un esproprio mai fatto su quello siciliano. E col progetto, adesso, ripartono pure i contenziosi. Così, se anche tutto dovesse nuovamente fermarsi, potrebbero esserci altri risarcimenti da pagare. Insomma, fondi europei bloccati, famiglie nel limbo e costi per lo Stato che potrebbero lievitare anche senza far nulla. “Non possiamo più permetterci di avere altre ferite per l’inizio di lavori poi non terminati”, dice Giusy Caminiti, sindaca di Villa San Giovanni, comune che affaccia sulla sponda reggina dello Stretto.

I soldi già buttati – Il continuo avanti e indietro sul progetto – a seconda del diverso orientamento dei vari governi – ha già causato vari esborsi da parte dello Stato. L’ex motel Faro, a Messina, guarda in faccia la Calabria: si tratta di una grande struttura alberghiera proprio di fronte allo Stretto, rimasta completamente abbandonata per anni, il cui ex proprietario (che nel frattempo ha venduto) ha ottenuto un risarcimento di 235mila euro. E non perché lo Stato si è appropriato dell’immobile, ma per il danno causato dal reitero del vincolo di esproprio, cioè per l‘incertezza causata per anni agli abitanti della zona. E non va meglio sulla sponda calabrese: qui era stata realizzata la prima opera propedeutica al ponte, l’ormai nota variante di Cannitello, ovvero lo spostamento di un chilometro di linea ferrata per lasciare spazio alla zona di cantiere. Il progetto è stato abbandonato, ma 12 anni dopo a Villa San Giovanni c’è ancora una galleria di cemento senza “mascheramento”, ovvero senza copertura, che i residenti chiamano “ecomostro”.

I fondi a rischio – Nel quartiere di Piale, a Villa San Giovanni, era stata invece realizzata una galleria foranea per rifare il tracciato autostradale e lasciare spazio al cantiere mai avviato. L’opera ha danneggiato le case e i proprietari hanno ottenuto un risarcimento milionario. “Siamo molto preoccupati. Al di là delle ideologie, ci interessa capire se resteremo con altrimostrisul groppone. E quest’incertezza pesa già sui fondi del Pnrr per cui avevamo avuto l’approvazione”, racconta la sindaca Caminiti. C’è infatti un progetto del Comune che grazie alle risorse europee prevede di acquisire Forte Beleno, una fortezza murattiana dell’Ottocento posta su una delle colline più panoramiche e verdi della città. Che però è compresa nell’area dei lavori del ponte e quindi soggetta a vincolo di esproprio: proprio lì, infatti, dovrebbe sorgere il blocco di ancoraggio. Così lo Stato spenderà soldi per espropriare un’area su cui perderà gli stanziamenti del Pnrr già approvati. Una situazione paradossale: “Se entro il 30 settembre non verranno avviati i lavori sarà tutto perduto”, spiega la sindaca.

Nuove spese per lo Stato? – Ma l’emorragia per le casse dello Stato potrebbe essere ancora lunga. “Anni fa avevamo fatto tutti un’azione legale, non solo per fermare gli espropri, ma anche per ottenere il risarcimento del danno causato da questa perenne incertezza”, spiega Mariolina De Francesco, biologa dell’Università di Messina, anche lei residente nella zona del futuro pilastro siciliano. “Tutto finì con l’abbandono del progetto da parte del governo Monti: il proprietario del motel Faro fu l’unico a non abbandonare la causa e vinse. Noi ci eravamo illusi che fosse tutto finito, adesso torniamo dov’eravamo rimasti”. Per l’avvocato Carmelo Briguglio, da anni consulente degli abitanti dei residence “Torre Faro” e “Due Torri” (che nel progetto dovrebbero essere rasi al suolo), “ci sono tutti gli estremi per avviare un nuovo iter per chiedere i danni da reitero del vincolo di esproprio”. “Sono innamorata di questo luogo e quando ho comprato casa qui, ormai più di vent’anni fa, è stata una grandissima gioia. Ma è durata poco: troppo tardi capii che anche noi rientravamo in zona esproprio. Vendere è quasi impossibile, ma poi per andare dove? Non si sa quali zone della città saranno interessate dal ponte”, si sfoga un’altra residente, Cettina Lupoi.

Le mappe vecchie di 11 anni – La mappa delle aree da espropriare infatti risale a più di dieci anni fa. “Nel frattempo è tutto cambiato, terreni agricoli sono stati edificati, i proprietari sono cambiati… è tutto diverso”, ragiona Alessandro Russo, ex consigliere comunale del Pd, proprietario di una delle villette sulla collina di Granatari. “La prima mappatura è del 2011, nel 2012 c’è stato un aggiornamento, poi ancora un ulteriore addendum su richiesta della commissione Via (valutazione di impatto ambientale). Ma i tre documenti non combaciano“. Insomma, c’era già confusione 11 anni fa. Nel frattempo si sono progettati interventi: “Noi abbiamo in progetto l’ampliamento del cimitero di Faro Superiore eppure una parte dovrebbe rientrare nell’esproprio. Attendiamo di capire quali aggiornamenti sono stati fatti”, ricorda il sindaco di Messina, Federico Basile. Nessuna chiarezza nemmeno su quante siano le persone interessate: “Dal lato siciliano sono 220 le particelle catastali interessate dagli espropri, almeno stando all’aggiornamento fatto nel 2012. Ma in una particella, per esempio, c’è un edificio di sei piani. Quanti di noi siano coinvolti da lavori, sbancamenti, gallerie e così via è difficile da calcolare”, spiega Daniele Ialacqua, attivista no-ponte ed ex assessore della giunta di Renato Accorinti. “Molti credono di non rientrare nella mappa perché non hanno mai ricevuto alcuna comunicazione, ma oltre i cinquanta espropri non arriva nulla, basta l’avviso, devi essere tu a verificare di rientrarci. La mia abitazione, ad esempio, rientra in una striscia viola che fa presupporre che verrà allargata la strada. Noi non verremo espropriati, ci verrà tolta una parte di parcheggio, mentre ai miei vicini verrà tolta una parte di salotto”.

I dubbi sul futuro – I lavori per il ponte, ha annunciato il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini, inizieranno nel luglio del 2024. Ma gli abitanti delle due coste sono scettici: “La legge che a maggio ha rilanciato il Ponte sullo Stretto prevedeva che a giugno fosse pronto un aggiornamento del piano espropri, ma così non è stato. Non sappiamo cosa ci sia nella relazione che è stata depositata a settembre. Però di certo dubitiamo che siano riusciti ad aggiornare il piano, fermo a 11 anni fa, in pochi mesi”, sottolinea Ialacqua. Anche il sindaco Basile è dubbioso: “Che i lavori possano iniziare nel luglio prossimo non sembra possibile: sei mesi possono servire a me per aprire un piccolo cantiere in città, non per un’opera di queste dimensioni. Forse bisogna chiarire cosa si intenda per avvio dei lavori”. Mentre sulla sponda calabrese la sindaca Caminiti commenta amara: “Qui i lavori sono davvero iniziati, abbiamo avuto uno spostamento del tracciato autostradale e un ecomostro, ovvero un’interrata ferroviaria rimasta lì, nel vuoto. Ferite laceranti che non ci possiamo più permettere di avere”. Mentre i cittadini che rischiano l’esproprio non hanno dubbi: “Undici anni fa abbiamo avuto perfino le trivelle dentro il complesso, e poi non se ne fece nulla comunque. Non ci aspettiamo niente di diverso: ci lasciano in un limbo per la loro propaganda elettorale e nient’altro”, si sfoga Mariolina De Francesco. Nel frattempo, quanti risarcimenti dovrà pagare lo Stato?

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