Giulia Patrizia Esposito, siciliana di Messina, è tra gli italiani che hanno perso il Reddito di cittadinanza perché il governo ha deciso che sono “occupabili”. Nulla a che vedere con esperienza e competenze, sia chiaro. Se hai tra i 18 e i 59 anni e nessun minore, persona con disabilità o over 60 nel nucleo familiare, puoi lavorare. Così a Giulia, che di anni ne ha compiuti 59 ad agosto, non resta che prepararsi a seguire corsi e orientamento professionale e chiedere i 350 euro del Supporto formazione e lavoro. “Pochi, maledetti e mai”, li hanno ribattezzati i tanti che ancora aspettano nonostante frequentino i corsi. L’ultima erogazione del Reddito, Giulia l’ha ricevuta a luglio e con l’affitto da pagare non perde tempo. Come altre migliaia di persone, la domanda per il Supporto la presenta l’1 settembre, primo giorno utile. Solo per sapere che la richiesta ha “superato i controlli istruttori” deve attendere fino al 7 di novembre e ancora il 29 per la convocazione al Centro per l’impiego. Ma questa non è una storia di ritardi e soldi che non arrivano, come ce ne sono e il Fatto ha raccontato. La storia di Giulia dice molto di più e tanto di peggio, illuminando le recenti parole di Giorgia Meloni sulla riforma del Reddito – “Rifarei tutto mille volte” – di una luce tutt’altro che natalizia.

Dopo 25 anni nel turismo e un paio da commessa part time in un negozio, si ritrova disoccupata. Una separazione alle spalle, figli grandi e ormai per la loro strada, Giulia è sola. “Quando mi è scaduta l’indennità di disoccupazione avevo già venduto la macchina e i pochi oggetti di valore”, racconta. Fa domanda per il Reddito di cittadinanza che l’Italia è già alle prese con la pandemia. “Non è che ci fai l’abitudine a non lavorare, soprattutto se lavori da quando avevi vent’anni”. Insomma, insiste. Ma l’età non aiuta e al centro per l’impiego i navigator le dicono chiaramente di non farsi illusioni. “Nel frattempo, a Messina come a Catania le attività che chiudono sono più di quelle che nascono”. Offerte le arrivano da chi propone un lavoro in nero, nient’altro. Passa il tempo e passano i governi, e quello di Giorgia Meloni dice che Giulia può lavorare. O meglio, che se così non fosse non se ne farà carico fino ai suoi 60 anni. Che sarebbero dietro l’angolo se solo non dovesse mangiare tutti i giorni e pagare l’affitto ogni mese. Così, quando a fine novembre arriva il tanto atteso appuntamento con il Centro per l’impiego, lei è già sotto sfratto.

Fin qui, triste dirlo, è una storia identica a tantissime altre. Niente Reddito, domanda per i 350 euro fatta ai primi di settembre e il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, la piattaforma Siils, che non funziona. A dire il contrario sono rimasti solo la ministra del Lavoro Marina Calderone e l’Inps, che intanto non ha erogato molti pagamenti, né pubblicato i dati sulle effettive erogazioni. Se poi la tua regione è in ritardo sull’avvio della formazione, com’è la Sicilia, peggio ancora. Queste le prospettive che il 29 novembre attendono Giulia oltre la soglia del centro per l’impiego di via Dogali a Messina. Prima sorpresa: visti i titoli di studio, il curriculum, la padronanza di due lingue straniere e la recente indennità di disoccupazione, a 59 anni viene inserita nella “fascia 101”. Il programma nazionale Garanzia occupabilità lavoratori (Gol), finanziato dal Pnrr, divide i partecipanti in quattro gruppi a seconda della distanza dal mercato del lavoro e delle esigenze formative o socio-assistenziali. Contrariamente a quanto le veniva detto al centro per l’impiego quando percepiva il Reddito, oggi Giulia non ha più bisogno di niente. Anzi, il suo profilo corrisponde ai cosiddetti “work ready“, quelli che basta trovare la giusta opportunità.

Insomma, poche ore di corso saranno più che sufficienti. “Dieci”, intende lei durante il colloquio, da fare presso un’agenzia privata per il lavoro (Apl) della zona. Più probabilmente nel 2024, le spiegano. “Nel frattempo – chiede Giulia – come faccio per vivere?”. L’operatrice non sa, si limita ad allargare le braccia. Anzi, le chiedono di tenerli informati sull’esito del colloquio con l’Apl. “Per capirci qualcosa”, dicono. Nell’attesa, è inutile anche sperare nei Progetti utili alla collettività, i Puc dei comuni che pure danno diritto ai 350 euro del Supporto. Per Messina, come anche per Palermo e in altre città, sulla piattaforma Siisl non ce n’è uno. E mentre chi ha lavorato nel turismo e parla due lingue resta a spasso, siti archeologici e musei pubblici rimangono chiusi e senza personale per mancanza di fondi. Il 6 dicembre Giulia ha infine appuntamento con l’agenzia. Ma niente formazione, c’è solo l’accompagnamento al lavoro. Di che si tratta? “Dicono che nemmeno loro l’hanno capito bene”, racconta lei. In ogni caso, nulla di immediato. Si faranno risentire ma non prima di gennaio o febbraio. A dirla tutta, per quelli “pronti al lavoro” come Giulia, la formazione non è nemmeno obbligatoria. Al massimo potranno iscriverla a un corso di 100 ore per le “competenze digitali trasversali”, chissà. Roba che in Sicilia non c’è ancora: bisogna “riempire le aule” e i corsi non partiranno prima di marzo. Burocrazia, colloqui, tanti condizionali, mesi. Alzi la mano chi a questo punto ricorda ancora che Giulia non ha di che vivere. Fino all’anno scorso, essere in povertà assoluta significava qualcosa per queste persone. Poi si è deciso di chiamarli “occupabili”, come se tutto ad un tratto il mondo fosse la loro ostrica. Come Giulia Esposito, che a 59 anni è talmente occupabile da poter addirittura finire sulla strada e morire di fame, e buon Natale.

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