Non ci sono solo le oltre 18mila vittime, la maggior parte civili, la devastazione nella Striscia e il disastro umanitario a Gaza nel grave bilancio della guerra condotta da Israele nell’enclave palestinese per “sradicare Hamas”, dopo il sanguinoso attacco del gruppo islamista che ha provocato circa 1.200 morti israeliani, con 240 persone rapite. Anche in Europa e negli Stati Uniti cresce la paura per possibili attentati e l’avvio di una nuova stagione del terrorismo stimolata dal massacro in corso a Gaza. Il primo segnale è arrivato meno di dieci giorni dopo l’inizio dell’operazione militare di Tel Aviv, con l’attentato di Bruxelles. Un mese e mezzo dopo è toccato, di nuovo, a Parigi, l’altra città duramente colpita dalle azioni degli islamisti negli anni in cui la propaganda dello Stato Islamico dava i suoi frutti in termini di attacchi al di fuori dei confini dell’allora Califfato. Numerose operazioni di polizia hanno inoltre portato agli arresti di presunti appartenenti a cellule terroristiche, le ultime giovedì in tre diversi Paesi Ue. E adesso le intelligence europee, e perfino l’Fbi, ammettono che esiste un reale rischio di attacchi terroristici già durante le feste di Natale. Un allarme condiviso anche dall’ex agente segreto del Secret Intelligence Service britannico MI6 e oggi analista del Soufan Center, Richard Barrett, che, intervistato da Ilfattoquotidiano.it, ammette che il rischio è reale, anche se ancora non è possibile definirne la portata.

Dopo oltre due mesi di guerra e 18mila morti a Gaza, alcune agenzie di intelligence hanno lanciato l’allerta sul rischio di attacchi terroristici. L’Fbi si è detto preoccupato per ciò che potrebbe accadere già durante le feste natalizie. Vista la sua esperienza, crede che si tratti di un rischio concreto?
Sì, esiste un rischio reale anche se è difficile da quantificare, al momento. Basta una singola persona per compiere un attacco che può portare anche a conseguenze gravi, quindi l’Fbi e altre agenzie occidentali hanno certamente ragione a pensare che qualcuno sensibile al messaggio dei terroristi possa decidere di agire spinto dai fatti di Gaza. I gruppi estremisti più violenti stanno definendo la guerra a Gaza come solo una faccia di una guerra globale contro la comunità musulmana mondiale e spingono così le persone a unirsi a una battaglia sempre più urgente. Con questo racconto potrebbero avere successo nel convincere alcuni individui a commettere attacchi terroristici.

Dobbiamo quindi prepararci a una nuova stagione del terrorismo islamista o crede che i principali brand, come Isis o al-Qaeda, non siano abbastanza forti al momento per sferrare attacchi nel cuore dell’Europa e degli Stati Uniti?
Non c’è dubbio che gruppi come al-Qaeda i Isis siano più deboli rispetto al passato, ma non sono spariti, esistono ancora e continuano a sfruttare ogni opportunità per trovare nuovi sostenitori e dimostrare così la loro vitalità. Dubito che i loro membri più importanti siano al momento attivi in Occidente, ma la loro propaganda rimane un elemento accessibile per chi la cerca. Come abbiamo visto in passato, c’è un numero considerevole di persone deluse nei Paesi occidentali che lanciano un certo tipo di messaggi, anche se quasi mai arrivano a compiere azioni concrete. Come detto, è molto difficile valutare il rischio reale rappresentato da chi minaccia di intraprendere azioni violente. Fortunatamente la maggior parte si limiterà a fare dichiarazioni, ma basta una sola persona per compiere un attentato e le agenzie di sicurezza devono rimanere vigili e allertare la popolazione se pensano che il rischio di attacchi stia salendo.

Ciò che sta accadendo a Gaza potrebbe anche stimolare la nascita di nuove organizzazioni terroristiche?
Penso sia improbabile che un nuovo gruppo terroristico internazionale possa emergere nella stessa Gaza. Anche se il clima si riscalderà fuori dalla Striscia, così come all’interno dell’enclave, la questione non ha comunque mai ispirato atti di terrorismo internazionale negli ultimi 25 anni, come avveniva negli Anni 70. Con questo non intendo dire che ciò che sta accadendo adesso a Gaza non possa stimolare il terrorismo nei prossimi mesi, ma che questo non porterà necessariamente alla nascita di nuovi gruppi. Non c’è dubbio, però, che ciò che sta accadendo a Gaza porterà a una nuova generazione di palestinesi che sarà profondamente radicalizzata.

Negli anni recenti, i pericoli più importanti sono arrivati per mano dei cosiddetti ‘lupi solitari’. Come possono le agenzie di intelligence monitorare i loro movimenti e le loro attività?
Questo rimane un problema enorme perché le agenzie di intelligence non possono identificare i ‘lupi solitari’ applicando un qualche modello a tutta la popolazione, né vorrebbero farlo. Anche in una società in cui, in qualche modo, sia possibile ottenere una sorveglianza totale le autorità non potrebbero essere sicure di prevenire tutti gli attacchi. Un certo livello di rischio terrorismo è parte del prezzo che ogni società libera deve pagare per le proprie libertà e, fortunatamente, il rischio per un individuo di essere coinvolto in un attacco terroristico è davvero molto basso. Uno degli obiettivi dei terroristi è quello di incoraggiare lo Stato a sopprimere le libertà e in nome di maggiore sicurezza, portando così a una maggiore opposizione e, di conseguenza, simpatia per la causa terroristica.

Tornando alla spinta che può imprimere il conflitto a Gaza a nuove azioni terroristiche, abbiamo visto bambini morire sotto le bombe israeliane, soldati israeliani che devastano case e negozi palestinesi, coloni attaccare villaggi nei Territori Occupati. E dopo questo, anche civili denudati e ammanettati per le strade di Gaza. Crede che quest’ultima immagine potrebbe creare un ‘effetto Abu Ghraib’ lungo anni?
Sì, certamente. Queste immagini sono molto potenti e rimarranno impresse nelle menti a lungo.

All’inizio del conflitto, Joe Biden suggerì a Benjamin Netanyahu di non commettere gli stessi errori degli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Queste immagini sono un esempio di ciò che intendeva il presidente americano?
Sì, perché sono immagini che suggeriscono una punizione collettiva e una disumanizzazione di un nemico percepito. Come in altri ambiti, si tratta delle immagini di una guerra che non può essere risolta con immense sofferenze umane e soprattutto civili.

Crede che l’amministrazione americana stia cercando di non apparire troppo coinvolta in questa guerra per una questione di consenso pubblico? Cosa stanno afcendo per non apparire troppo coinvolti?
È veramente molto complicato per l’amministrazione americana abbandonare la sua politica a lungo termine di sostegno a Israele, nel bene e nel male, ma penso che questa amministrazione sia consapevole sia del cambiamento dell’opinione pubblica negli Stati Uniti sia delle difficoltà che la guerra a Gaza sta creando in Medio Oriente, mettendo a repentaglio gli sforzi compiuti negli ultimi anni per ridurre l’instabilità politica in quel Paese.

Twitter: @GianniRosini

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