Il 59esimo Consiglio dei Ministri dello scorso 17 novembre ha approvato un disegno di legge che prevede che, in caso di accertamento di abusi non sanabili, un bene sequestrato alla mafia può essere demolito, una volta confiscato definitivamente. In questo caso, solamente l’area verrebbe acquisita al patrimonio indisponibile del Comune in cui il bene si trova. Non è ancora norma. Ad oggi, però, la demolizione è comunque ammessa, con modalità differenti e in situazioni molto particolari.

Per esempio a Rozzano, comune di 40mila abitanti, a sud di Milano, si demolisce. E si demolisce senza che si sia riscontrato alcun abuso. Si demolisce l’unico bene confiscato visitabile in città. Meta di centinaia di persone, soprattutto studenti, che in questi anni lo hanno visitato. Si demolisce senza una circostanziata valutazione di costi e benefici economici oltre che culturali e sociali.

Sappiamo bene quanto contano le mura di un immobile. I pavimenti. I soffitti e le decorazioni. I bagni e i marmi. Il Camino e la veranda. Il bene confiscato è come la scena di una battaglia. Quella vinta dallo Stato sulla mafia. Sulla corruzione, sull’usura, sullo spaccio e sulle estorsioni. Diventa un cimelio. Quando si visita un bene confiscato la prima cosa che (ci) si chiede a chi è stato confiscato e perché. E poi si entra. E si gusta il fascino di qualcosa di distante e sinistro, che si trasforma in qualcosa di familiare e utile. A Rozzano si è deciso che tutto questo non sarà più possibile perché si raderà tutto al suolo. L’obiettivo dichiarato è quello di creare un servizio Housing first e due appartamenti per l’accoglienza di persone con gravi fragilità anche psichiatriche oltre che legate a problemi di dipendenza. Il bene verrà ricostruito ex novo. Irriconoscibile rispetto a quello confiscato.

Il tipo di servizio scelto renderà il bene “impermeabile” alla cittadinanza. Si dovrà garantire riservatezza e spazi protetti. Sarà impossibile organizzare feste, spettacoli teatrali, laboratori per bambini e aprirlo alla cittadinanza come è stato fatto in tutti questi anni. Il rischio è che la potenza evocativa dell’unico bene confiscato a Rozzano venga demolita con lui.

Durante il Consiglio comunale del 27 novembre scorso, incalzato dalle domande previste dal question time, il sindaco Ferretti difende la scelta, ma non dice come mai preferisce abbattere e non ristrutturare. Rimangono inascoltate, per ora, anche le richieste di ripensamento rivolte al sindaco da Stefano Boeri, che ha curato altri progetti di riqualificazione di beni confiscati, che fa leva su “riflessioni civili prima ancora che architettoniche”.

Ad avanzare le domande nel question time alcuni cittadini riuniti nel Comitato di scopo Molise 5, che ha sottoscritto a metà settembre del 2018 un Patto di Collaborazione, per gestire il bene, “Nelle more dell’istruttoria di affidamento” per scopi sociali. Cittadini che hanno regalato alla collettività migliaia di ore del loro tempo libero per salvaguardare e diffondere il significato che quel luogo possiede in assoluto e nello specifico per Rozzano.

Ora non si possono lasciare soli quei cittadini. Su questa vicenda c’è stato fin troppo silenzio e toni bassi. Ora le organizzazioni e associazioni maggiormente rappresentative, le stesse realtà che sono in prima linea a battersi, a volte anche a ragione, contro la vendita dei beni confiscati e il loro non utilizzo, devono far sentire la loro voce unita, a difesa di quel bene.

Ora o mai più.

Foto tratta dalla pagina Facebook Comitato 5 Molise

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