Tra gli oggetti più intriganti per gli scienziati il “club” dei buchi neri offre sempre nuove scoperte e sfide alla comprensione. Un gigantesco buco nero, di 1,6 milioni di masse solari, sta crescendo con un ritmo accelerato mai visto finora ed è già un bersaglio di studio per gli astronomi. Nonostante le sue dimensioni, si trova in una galassia 25 volte più piccola della Via Lattea, e a stupire di più è la sua età. “Questa scoperta può essere rilevante per le stime del tasso e delle proprietà dei segnali di onde gravitazionali provenienti dall’Universo primordiale – scrivono gli autori – che saranno rilevate da futuri osservatori come LISA”.

Si è formato, infatti, quando l’universo era giovanissimo e aveva solo 420 milioni di anni, ovvero il 3% della sua età attuale. Il risultato è online su arXiv, la piattaforma che accoglie gli articoli non ancora sottoposti al vaglio della comunità scientifica, e si basa sui dati del telescopio spaziale James Webb, di Nasa, Agenzia Spaziale Europea e Canadese. Coordinata dall’Università britannica di Cambridge, la ricerca è stata condotta in collaborazione con la Scuola Normale Superiore di Pisa.

Il rompicapo che i ricercatori stanno cercando di risolvere non riguarda solo il fatto che un buco nero così massiccio sia nato in una galassia così piccola, ma che si sia potuto formare così presto dopo il Big Bang. “Sono state proposte molteplici teorie per descrivere la formazione dei precursori dei buchi neri nell’universo primordiale e per spiegare l’emergere di buchi neri molto massicci in tempi così remoti”, dice Roberto Maiolino, ricercatore italiano dell’Università di Cambridge che ha guidato lo studio. “Secondo uno dei modelli più diffusi – aggiunge – i buchi neri nascono dal collasso diretto di nubi primordiali in oggetti precursori di dimensioni comprese tra 10mila e 1 milione di masse solari”.

Solo adesso, però, grazie al telescopio Webb, è diventato possibile mettere alla prova alcune di queste teorie: il telescopio, infatti, consente di osservare buchi neri lontanissimi da noi, risalenti quindi ai primordi dell’universo, e anche molto piccoli, cose prima irrealizzabili. In questo modo, i ricercatori hanno scoperto che il buco nero che domina la galassia GN-z11 possiede un tasso di crescita notevole, superiore anche ai buchi neri nati in epoche successive, e dunque difficile da spiegare per gli astronomi. Secondo gli autori dello studio, per fare luce su questo mistero bisognerà cercare altri buchi neri primordiali supermassicci, un compito che al momento solo il telescopio Webb può svolgere.

L’abstract dello studio

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