Il 10 dicembre è una data che non può passare inosservata. Infatti il 10 dicembre 1948 fu approvata a Parigi, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, una Carta di straordinaria importanza che, concludendo una stagione di forte impegno culturale, apriva le porte a un mondo nuovo di progresso e di civiltà: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ed è da sottolineare che questa Dichiarazione fu prevalente opera di una straordinaria donna: Eleonora Roosevelt, cugina e poi moglie del Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt.

La grandiosità di questa Dichiarazione si coglie già nelle prime parole del suo Preambolo, le quali “considerano” che: “Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Parole grandiose che oggi, a 75 anni di distanza dal loro pronunciamento, sembrano scomparse dal cielo della nostra storia, lasciando riemergere sulla terra quella atroce barbarie che si riteneva di aver sconfitto per sempre. Infatti, non possono non definirsi barbarie: la catastrofe umanitaria di Gaza, con 18.000 mila vittime di cui 9.000 bambini, oltre quelli rimasti orfani, vaganti soli e atterriti sotto le bombe; ragazze iraniane uccise da una polizia a servizio di un regime assurdo e retrogrado; migranti lasciati morire in mare a causa, addirittura, di ben precise disposizioni di legge; l’atroce guerra nella martoriata Ucraina; e via dicendo.

Appare chiaro ed evidente che quello spirito solidaristico che era nato dopo la seconda guerra mondiale ha lasciato il campo al più bieco egoismo e alla inevitabile conseguenza del ricorso alla violenza. E non si può fare a meno di notare che il veleno della cupidigia del danaro sta travolgendo alle radici anche la nostra povera Italia, caduta da tempo nelle mani di governanti inesperti e piegati ai potentati economici statunitensi ed europei. E quello che è ancor più grave è che si sta tentando di travolgere, prima con leggi incostituzionali e poi con una proposta governativa di modifica costituzionale, la nostra stessa Costituzione, che è stata all’avanguardia della tutela dei diritti umani, avendo peraltro preceduto di 10 mesi la stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

A tal proposito è da sottolineare che, secondo detta proposta di modifica costituzionale, la “politica nazionale” non è più decisa in Parlamento a seguito di una dialettica tra maggioranza e opposizione, come prevede il vigente art. 49 Cost., ma fuori del Parlamento con la predisposizione da parte di gruppi di persone di vari “programmi di governo” collegati alla candidatura del Presidente del Consiglio dei Ministri, con la conseguenza che il gruppo che ha presentato il programma che risulta vincente anche per un solo voto ottiene, con un “premio”, il 55 per cento dei seggi parlamentari, di modo che, magicamente, diventa maggioranza (beninteso del tutto fittizia). E, si badi bene, che la vittoria in questa specie di gara tra “programmi” certamente arride a chi ha maggiori possibilità di utilizzare i media, e cioè quella esigua ma potente categoria cosiddetta dei potentati economico-finanziari.

Sarà quindi ancor più agevole considerare il “lavoro” una merce e togliere al popolo, con le micidiali “privatizzazioni”, la “proprietà pubblica demaniale” dei beni che, secondo gli intoccabili “principi fondamentali” della Costituzione, assicurano la vita della intera collettività: le industrie strategiche, i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, che devono appartenere alla mano pubblica o a comunità di lavoratori o di utenti (articoli 42 e 43 Cost.), nonché il paesaggio, il patrimonio storico e artistico, la biodiversità, gli ecosistemi, l’ambiente, la salute (articoli 9 e 41 Cost.), e così via.

In questa società della menzogna chi è ancora ingannato è il popolo, reso stordito e indifferente da una martellante propaganda dei media. E questa volta il popolo crede di votare addirittura il capo del governo e non sa che non vota affatto un proprio “rappresentante”, che legifera interpretando i bisogni e i diritti fondamentali di tutti, ma un esecutivo tenuto a perseguire, in sostanziale autonomia, gli interessi di una minoranza, peraltro non esprimendo la propria “preferenza”, ma praticamente cedendo la propria “sovranità”.

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