L’Armenia e l’Azerbaigian hanno annunciato l’imminente normalizzazione delle relazioni diplomatiche bilaterali e la possibile firma di un trattato di pace entro la fine dell’anno. Lo sviluppo, che solamente alcuni mesi fa sarebbe stato derubricato a pura fantapolitica, è destinato a porre fine al conflitto che vede contrapposte Baku e Yerevan sin dal 1991 e apre alla stabilizzazione della regione del Caucaso. La riconquista a settembre dell’exclave armena del Nagorno-Karabakh (riconosciuta dalla comunità internazionale come parte dell’Azerbaigian) da parte delle truppe di Baku ha provocato una forte crisi politica a Yerevan e ha facilitato un riavvicinamento tra le parti grazie ai colloqui mediati da Unione Europea, Russia e Stati Uniti. I due Paesi hanno chiesto alla comunità internazionale di supportare i loro sforzi mentre il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha espresso soddisfazione per la riconciliazione definendola “uno sviluppo significativo nelle relazioni tra Armenia ed Azerbaigian” .

L’improvvisa caduta del Nagorno Karabakh, che si auto-governava da decenni e che poteva contare sulla tutela armena ed indirettamente russa, è stata oggetto di analisi da parte degli osservatori delle vicende del Caucaso. Il portale Analisi Difesa aveva ricordato come Mosca avesse abdicato, almeno temporaneamente, alla storica funzione di protettrice dell’Armenia per raggiungere un duplice obiettivo: rinsaldare i rapporti con la Turchia, importante alleata dell’Azerbaigian ed ostile all’Armenia e rafforzare le proprie posizioni in Ucraina ed indebolire il governo riformista di Yerevan che, nell’ultimo periodo, si è avvicinato agli Stati Uniti.

L’Armenia è storicamente legata alla Russia che ne garantisce, da decenni, la sopravvivenza in una regione caucasica che la vede quasi circondata da nazioni ostili. La Turchia, che confina ad ovest con Yerevan ed è erede di quell’Impero Ottomano responsabile del genocidio armeno del 1915-1923, non ha mai avuto relazioni diplomatiche con l’Armenia e lo stesso vale per l’Azerbaigian, che ha sempre potuto contare sulla vicinanza politica di Ankara. Le basi militari di Mosca presenti sul territorio armeno hanno rafforzato l’influenza russa sulla nazione caucasica che, vista la precaria posizione geografica, si è sempre rivolta con fiducia verso l’ex potenza dominante.

Persino la Rivoluzione di Velluto del 2018, che ha portato al potere il Primo Ministro riformista Nikol Pashinyan e favorito una democraticizzazione della vita politica armena, ha impedito lo sviluppo di una vera e propria politica estera filo-occidentale. La situazione, come ricordato dal portale Carnegie Endowment for International Peace, ha iniziato a mutare dopo l’invasione russa dell’Ucraina. A partire da quel momento Yerevan ha cercato di rinsaldare i rapporti con l’Occidente e si è mostrata disponibile a raggiungere un compromesso sul Nagorno-Karabakh. Le mosse di Pashinyan hanno probabilmente irritato Mosca che non è più intervenuta apertamente in sostegno di Yerevan nello scontro con l’Azerbaigian. La conquista azera del Nagorno-Karabakh non ha però provocato la caduta di Pashinyan ma si è invece rivelata un boomerang per l’opposizione filo-russa e per gli interessi di Mosca. In molti ritengono che non sia più possibile perseguire un’alleanza con il Cremlino e questo sviluppo può aprire spazi alla penetrazione strategica di Unione Europea e Stati Uniti. Lo stesso Pashinyan, come ricordato dallo European Council of Foreign Relations (ECFR), ha accusato la Russia di aver fatto “dichiarazioni pubbliche per un cambio al potere in Armenia, per la caduta del governo democratico”.

La possibile fuoriuscita dell’Armenia dalla sfera d’influenza russa richiederà una rottura dell’attuale schema geopolitico. Yerevan, infatti, fa parte dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza militare equivalente alla NATO ma capeggiata dalla Russia che lega ancora più strettamente le due nazioni. Secondo l’ECFR l’Unione Europea dovrebbe impegnarsi a rafforzare la resilienza dell’Armenia inviando equipaggiamenti militari alle forze armate di Yerevan. Bruxelles dovrebbe inoltre facilitare la coesione sociale nel Paese fornendo aiuto umanitario per l’integrazione dei profughi del Nagorno-Karabakh che si sono rifugiati in Armenia e favorendo il rafforzamento delle istituzioni locali come contrappeso alla possibile instabilità interna. Si tratta, comunque, di una partita in salita vista la distanza geografica che separa Bruxelles da Yerevan e viste le molteplici capacità di intrusione che Mosca ha dimostrato di avere nello spazio post-sovietico. Il Caucaso (con la parziale eccezione della Georgia), così come l’Asia Centrale, sono storicamente ostili ad una marcata penetrazione politica dell’Europa e degli Stati Uniti e sono storicamente considerati il retroterra strategico degli interessi irrinunciabili del Cremlino. I drammatici sviluppi avvenuti in Ucraina, una nazione maggiormente integrata nel contesto europeo che ha dimostrato di voler agire in autonomia da Mosca, dimostrano quanto rischiosa possa essere questa partita per Yerevan.

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