A un gruppo di ricercatori si deve una scoperta senza precedenti: l’individuazione di giacimenti profondi d’acqua nel sud della Sicilia. Il team ha sfruttato le competenze sviluppate in particolare nel settore della ricerca petrolifera, per ricercare, però, preziose risorse idriche profonde. Si tratta di un team di ricercatori dell’Università di Malta, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università Roma Tre, che ha recentemente pubblicato uno studio scientifico, pubblicato su Communications Earth & Environment’ di Nature Portfolio, che rivela la presenza di risorse idriche sotterranee nella Formazione di Gela, una piattaforma carbonatica Triassica nel sottosuolo della Sicilia meridionale. Tale scoperta potrebbe essere utile per affrontare le sfide della sicurezza idrica.

“Le risorse idriche sotterranee profonde in tutto il mondo rappresentano un’importante fonte potenziale di acqua non convenzionale, che possono supportare le crescenti necessità, legate anche alla crescita demografica globale“, ha spiegato Lorenzo Lipparini, ricercatore dell’INGV e primo autore dello studio. “Documentiamo un esteso corpo idrico sotterraneo di acque dolci e salmastre conservato in un acquifero profondo tra i 700 e i 2500 metri di profondità al di sotto dei Monti Iblei, nella Sicilia meridionale”.

La scoperta di questo vasto accumulo d’acqua è il risultato di un approccio innovativo che combina l’analisi di pozzi petroliferi profondi con avanzate tecniche di modellazione tridimensionale del sottosuolo. “Queste acque addolcite potrebbero avere utilizzi diversificati, dalla potabilità all’utilizzo per scopi industriali e agricoli, aprendo così nuove prospettive per la Sicilia meridionale e altre regioni costiere del Mediterraneo”, ha sottolineato il ricercatore INGV.

Lipparini ha inoltre spiegato che questa metodologia di ricerca innovativa potrebbe essere sfruttata anche per altre aree dell’Italia e del Mediterraneo caratterizzate dalla carenza idrica e da condizioni geologiche analoghe: “Grazie ai risultati raggiunti si potrà ora cercare di individuare possibili nuovi accumuli anche in aree quali Marocco, Tunisia, Egitto, Libano, Turchia, Malta e Cipro, per citarne alcune”.

Lo studio su Nature

Foto INGV

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