Andare in Svizzera per il suicidio assistito in termini economici non è come comprare un biglietto dell’Atm, perché è relativamente costoso. Ci sono tante persone che sono nelle condizioni in cui era mia sorella, se non peggiori, e non hanno la possibilità di andare in Svizzera per pure ragioni economiche. E questo è veramente immorale e assurdo: uno può scegliere di morire dignitosamente solo se può permettersi di pagare“. Lo afferma tra le lacrime ai microfoni di Uno, Nessuno, 100Milan (Radio24) Paolo Botto, fratello di Margherita, traduttrice letteraria e professoressa universitaria milanese, morta in Svizzera dopo aver avuto accesso al suicidio medicalmente assistito. Ad accompagnarla al centro specializzato di Zurigo sono stati proprio il fratello e Cinzia Fornero dell’associazione “Soccorso Civile”, che ieri si sono autodenunciati alla caserma dei carabinieri di Milano Duomo. La pena prevista per l’aiuto al suicidio va dai 5 ai 12 anni di carcere.

A Margherita Botto, che aveva un tumore al torace non operabile, il fratello dedica parole dolci e commoventi: “Ho aiutato mia sorella a trovare questa soluzione, perché il suo desiderio era andarsene dignitosamente e senza troppe sofferenze, essendo la sua situazione davvero compromessa. Sono convinto di aver fatto la cosa giusta. In questa vicenda – spiega – che è iniziata a metà agosto con la prima diagnosi ed è finita martedì, ho ricevuto aiuto e consigli dall’Associazione Luca Coscioni e da Marco Cappato, che ci ha prospettato diverse soluzioni all’estero. Margherita ha scelto di sua volontà la Svizzera e io ho fatto tutto quello che ho potuto, perché lei non era nelle condizioni di gestire da sola le pratiche e i bonifici”.

E aggiunge con la voce rotta dall’emozione: “Le critiche di chi considera immorale il suicidio assistito? Non mi scalfiscono affatto e non avrebbero sicuramente toccato neppure mia sorella, che più di me aveva una fortissima struttura etica. A Marco Cappato ho dato la mia disponibilità ad autodenunciarmi, non solo per la mia vicenda personale, ma anche per dare un mio contributo affinché questo nostro Paese diventi un po’ più civile. Quelle persone – continua – che considerano immorale il suicidio assistito potrebbero concentrarsi su tante altre cose più gravi che purtroppo non provocano alcuna reazione percettibile, come il fatto che il mondo politico, più o meno trasversalmente, non abbia ancora fatto una legge su questo tema, nonostante paesi più civili del nostro l’abbiano fatta da tempo. Il risultato è che in Italia questa faccenda viene gestita nei modi più artigianali e strani. E solo grazie a una sentenza della Corte Costituzionale“.

Paolo Botto, infine, ricorda sua sorella, stimatissima traduttrice letteraria di grandi autori, come Emmanuel Carrère, Fernand Braudel, Marc Fumaroli, Lubomir Doleže: “Prima di avere i primi sintomi della sua malattia intorno al 15 agosto, aveva finito di licenziare le bozze di una raccolta di riflessioni del premio Nobel turco Orhan Pamuk. Fino a quel momento Margherita, anche se in pensione, era ancora professionalmente molto attiva e pimpante per avere 74 anni. Tre settimane dopo era praticamente invalida e così è stata la sua vita negli ultimi 3 mesi”.

Articolo Precedente

“Manicomio all’italiana”: a Roma il congresso dell’associazione “Diritti alla follia” sull’emarginazione delle persone fragili

next
Articolo Successivo

Valerii (Censis): “Siamo un paese di sonnambuli, ciechi di fronte ai presagi. C’è una sorta di paralisi e ogni cosa per noi è un’emergenza”

next