Settecentocinquanta milioni di persone nel mondo soffrono la fame, il 60% di loro è donna mentre l’80% vive in zone colpite da catastrofi naturali. È questo il quadro che emerge dall’Indice Globale della Fame, uno dei più importanti rapporti al mondo su questo tema, curato da Cesvi nell’edizione italiana e presentato mercoledì a Milano. Negli ultimi otto anni la situazione è peggiorata. Dal 2015 ad oggi le persone denutrite sono passate da 572 milioni a oltre 700 milioni. E tra le più colpite ci sono proprio le ragazze e le bambine.

Il 60% delle vittime di fame acuta sono donne. Il motivo? “Sulle ragazze continua a ricadere il lavoro di assistenza non retribuito, che sottrae loro tempo, energie e opportunità per la propria formazione e per accedere a impieghi retribuiti – si legge nel rapporto – è ormai noto che il lavoro di cura non retribuito è uno dei fattori che contribuiscono al protrarsi della disuguaglianza di genere ed è una delle cause principali della povertà e della fame”. E poi c’è un altro fattore: “In molti Paesi a basso e medio reddito le donne sono responsabili della produzione e della preparazione del cibo, così come del reperimento di acqua e legna da ardere – prosegue il rapporto – e durante i periodi di scarsità di cibo, le donne e le ragazze spesso mangiano di meno e per ultime, e ciò le espone maggiormente all’insicurezza alimentare e nutrizionale”. Per questo motivo tra le raccomandazioni del report c’è quella di far sì che “i programmi sociali ed economici includano la parità di genere, al fine di rimuovere le barriere all’istruzione e all’occupazione per le giovani donne e contribuire così a ridurne il carico di lavoro assistenziale non retribuito”.

L’altro fattore che incide sull’aumento del fenomeno della denutrizione è la crisi climatica. Non a caso il rapporto è stato presentato alla vigilia dell’apertura del vertice mondiale del clima Cop28 a Dubai. “Il cambiamento climatico ha un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare poiché all’aumentare di temperature e disastri climatici, crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre alimenti – si legge nel report – gli effetti sono particolarmente evidenti nei Paesi poveri e sulla salute dei loro abitanti”. Nelle zone rurali, il 75% di chi vive in povertà si affida alle risorse naturali come foreste e oceani per la sopravvivenza. E così si diventa più vulnerabili agli effetti della crisi climatica. Secondo il World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. “Nel 2023 la situazione climatica è in peggioramento e l’accesso al cibo resta precluso a molti – conclude Valeria Emmi, Networking and Advocacy Senior Specialist di CESVI – le zone meno resilienti soffriranno contraccolpi su fame e nutrizione, ritrovandosi meno preparate ad affrontare future crisi”.

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