Ergastolo confermato per Pietro Morreale, accusato dell’omicidio di Roberta Siragusa, la 17enne, ritrovata morta nel gennaio del 2021. Prima un colpo alla parte posteriore del cranio, poi bruciata e infine buttata giù in un burrone. Questa è la ricostruzione fatta dalla Procura di Termini Imerese, che oggi ha retto anche di fronte alla corte d’assise d’Appello, presieduta da Angelo Pellino. Così era morta Roberta Siragusa a soli 17 anni, nella notte del 23 gennaio del 2021. Morreale, ex fidanzato di Roberta, era all’epoca dei fatti 19enne. “Non possiamo essere contenti di un ergastolo che è sempre una sconfitta per la società ma di certo siamo soddisfatti che la ricostruzione dei fatti sia stata confermata. Troppi erano gli elementi contro il ragazzo, soprattutto i suoi comportamenti subito dopo l’assassinio ci raccontano quel che è davvero successo”, dicono gli avvocati della famiglia di Roberta, Giovanni Castronovo e Sergio Burgio.

Morreale ha ammesso di avere trasportato il cadavere della ragazza dal campo sportivo di Caccamo, dove è morta, fino al Monte San Calogero, dal quale ha fatto rotolare il cadavere. La sua difesa, sostenuta dall’avvocato Gaetano Giunta, ha sempre sostenuto che il ragazzo non l’avesse uccisa ma che fosse stata lei stessa a darsi fuoco. Perché allora spingerla giù? Un “gesto istintivo”, una spinta addirittura per esaudire il desiderio di Roberta perché “quel luogo aveva un valore speciale per la loro relazione. Qui i due giovani avrebbero trascorso momenti di intimità”, aveva detto Giunta nell’arringa conclusiva. Mentre la morte della ragazza era “stato solo un terribile incidente – ha sostenuto il legale in aula – L’ex fidanzato aveva scoperto che scambiava messaggi con un altro ragazzo e voleva lasciarla, per farlo tornare sui suoi passi, la ragazza si sarebbe cosparsa di benzina e per un tragico incidente avrebbe provocato il rogo che l’ha uccisa”.

Una difesa che non ha retto né in primo, né in secondo grado. Dopo avere trasportato il suo cadavere, Morreale ha inviato dei messaggi alla ragazza, chiedendole dove si trovasse, per questo i legali della famiglia Siragusa insistono: “Il suo comportamento successivo, dice con chiarezza cos’è successo”. Mentre Morreale le inviava messaggi, il corpo della ragazza giaceva nel fondo del burrone mezza nuda: la parte superiore del corpo non aveva vestiti e la pelle era stata consumata dalle fiamme. Mentre all’esame del medico legale era stato evidente che la ragazza avesse subito un colpo nella parte posteriore del cranio che la aveva tramortita. Così era morta Roberta, a soli 17 anni. Dopo aver subito dal ragazzo altri episodi di violenza, prima ancora della morte. “È pienamente provata la forte gelosia e possessività dell’imputato nei confronti di Roberta Siragusa” avevano scritto nelle motivazioni della sentenza i giudici in primo grado. Una gelosia, che spesso si “traduceva in aggressioni fisiche come dalla stessa vittima descritte in più conversazioni con un amico”.

La ragazza aveva raccontato ad un amico di avere già subito un tentativo di omicidio da parte di Morreale: “Voleva ammazzarmi – aveva raccontato all’amico – appena siamo arrivati è sceso dalla macchina, ha aperto il cofano e ha preso la corda e degli attrezzi e mi veniva contro”. Solo un tentativo di ucciderla, ma poi Morreale avrebbe messo a segno il progetto omicida solo pochi giorni dopo. Un omicidio, secondo i giudici “freddamente premeditato”. Roberta era morta, secondo il tribunale con “una fase di agonia di circa 2-5 minuti” mentre “l’imputato ha assistito impassibile all’abbruciamento” perfino con “assoluta mancanza di qualsivoglia sentimento di umanità“. Il verdetto di oggi pomeriggio della corte d’assise d’Appello di Palermo conferma l’ergastolo per Morreale e il diritto al risarcimento, oltre a provvisionali per circa 800mila euro, per i parenti della vittima.

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