Raccolti e terreni devastati. Lavoratori con influenza e infiammazioni polmonari. Bambini affetti da asma e problemi respiratori. Se ne parla ormai da tempo: in Cambogia i fumi delle fabbriche di mattoni stanno causando gravi danni alla salute e all’ambiente. Danni derivanti dalla combustione degli scarti di indumenti di noti brand internazionali, da Adidas a Primark, da Gap a Reebok. È questa l’accusa rilanciata dal rapporto “Bound by Brics”, pubblicato dalla Lega cambogiana per la promozione e la difesa dei diritti umani (meglio conosciuta con l’acronimo francese Licadho): per alimentare le fornaci alcuni stabilimenti utilizzano scarti di indumenti come plastica, ritagli di tessuto e gomma, la cui combustione causa emissioni nocive dalle conseguenze devastanti per i lavoratori, i loro figli e le comunità vicine.

Il rapporto si basa su ispezioni in 21 fabbriche della capitale Phnom Penh e della vicina provincia di Kindal, realizzate fra aprile e settembre 2023, nonché su interviste con attuali ed ex lavoratori. Dall’indagine emerge come gli scarti di indumenti pre-consumo vengano usati in ben sette impianti, di cui cinque operativi e due chiusi permanentemente, con l’obiettivo di risparmiare sui costi del carburante. Il punto è che una combustione incontrollata può causare il rilascio di sostanze inquinanti e tossiche per l’uomo, come le diossine: ad affermarlo è un rapporto pubblicato nel 2020 dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Secondo uno studio condotto nel 2018 da accademici britannici, tra queste sostanze ci possono essere candeggina, formaldeide, ammoniaca, metalli pesanti, Pvc e resine utilizzate per le tinture e le stampe.

Dati i rischi per la salute, un sottodecreto del 1999 sulla gestione dei rifiuti solidi affida al ministero dell’Ambiente il compito di concedere o meno l’autorizzazione al trasporto e allo smaltimento. E tuttavia, tali prodotti “vengono spesso acquistati e venduti da una serie di intermediari privi di licenza”: a quel punto arrivano nelle fabbriche di mattoni ed ecco che insorgono le problematiche per la salute. Come si legge nel rapporto, diversi lavoratori hanno riportato “mal di testa e problemi respiratori; un’altra lavoratrice ha riferito che questo la faceva sentire particolarmente male durante la gravidanza”.

I brand coinvolti in quest’ultimo rapporto sono 19, molti dei quali hanno già lanciato “politiche o impegni pubblici su cambiamento climatico, diritti umani e gestione dei rifiuti”. Alle già citate Adidas, Gap, Primark e Reebok si aggiungono C&A, Cropp e Sinsay di Lpp, Disney, Old Navy e Athleta di Gap Inc., Karbon, Kiabi, Lululemon Athletica, Lupilu di Lidl Stiftung & Co, No Boundaries di Walmart, Sweaty Betty, Tilley Endurables, Under Armour e Venus Fashion. Il 24 ottobre Licadho ha scritto a ciascuno di questi brand, ma al 19 novembre avevano risposto solo in sei: tra questi, Adidas e Lululemon Athletica, che hanno già promesso l’avvio di un’indagine.

Non si tratta peraltro del primo studio sulla questione. “Giornalisti e accademici”, si legge infatti nel rapporto, “hanno precedentemente identificato nelle fabbriche di mattoni cambogiane rifiuti provenienti da brand come Nike, Ralph Lauren, Michael Kors, Reebok, Next, Diesel, Clarks, Marks & Spencer, George at Asla, Pull&Bear, J.Crew, Walmart e Old Navy”. Secondo un sondaggio nazionale indipendente, nel 2019 il fenomeno interessava 23 delle 465 fabbriche di mattoni esaminate. La problematica si è aggravata nel tempo: quantomeno nel 2021, stando a un’indagine di Greenpeace Unearthed. A nulla sono valsi gli studi, le segnalazioni pubbliche e le ispezioni governative: gli scarti di indumenti hanno continuato ad affluire nelle fabbriche di mattoni cambogiane. E i marchi internazionali di abbigliamento non sono finora riusciti (o non hanno voluto) affrontare la questione.

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