Nel 2022 i casi di aggressione e violenza ai danni del personale sanitario accertati dall’Inail sono più di 1.600, in aumento rispetto al 2021 e al 2020. E ad essere aggredite sono soprattutto le donne, pari a oltre il 70% degli infortunati, in linea con la composizione per genere degli occupati nel settore rilevata dall’Istat. A segnalarlo è il nuovo numero del periodico Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro. Nello studio si precisa che si tratta di un dato parziale perché non comprende i medici e gli infermieri liberi professionisti che non sono assicurati dall’Inail, inclusi i medici di famiglia e le guardie mediche.

Dalla ricerca emerge che i casi di aggressione e violenza ai danni del personale sanitario nel 2022 restano comunque al di sotto di quanto rilevato prima della pandemia: nel 2018 e 2019 erano stati oltre 2mila all’anno. In massima parte gli aggressori sono i pazienti e i loro parenti, mentre sono molto più contenute le liti tra colleghi – pari a circa il 7% – e le aggressioni da parte di animali, subite principalmente dai veterinari, che sono circa il 6%. Tra le professioni più colpite i tecnici della salute – come infermieri e fisioterapisti – con un terzo degli aggrediti, seguiti dagli operatori socio-sanitari con circa il 30% e da quelli socio-assistenziali con oltre il 16%, mentre i medici incidono per quasi il 3%. Nel quinquennio 2018-2022, il 37% dei casi è concentrato nell’assistenza sanitaria (ospedali, case di cura, studi medici), il 33% nei servizi di assistenza sociale residenziale (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza) e il 30% nell’assistenza sociale non residenziale.

Nello studio viene riportato anche il numero dei casi di aggressione e violenza ai danni del personale sanitario per ogni regione. Al Nord si verificano quasi il 60% degli episodi, con Lombardia ed Emilia Romagna in cima alla lista con oltre 250 casi all’anno ciascuno. Nel Mezzogiorno si concentra un quarto dei casi e il restante 18% nel Centro, mentre Veneto, Sicilia, Piemonte, Toscana, Lazio e Liguria registrano più di 100 casi l’anno. Si tratta prevalentemente di contusioni e distorsioni, in particolare alla testa e agli arti superiori, arrivando a ferite o fratture nel 16% dei casi.

Tra i fattori di rischio per le aggressioni, l’Inail elenca i tempi di attesa, il lavoro in solitaria e il contesto socio-economico. Al datore di lavoro viene consigliato di svolgere un’attenta analisi del rischio e di attuare le necessarie misure di prevenzione. A livello delle singole organizzazioni, tra i fattori che influiscono sulla probabilità di accadimento di questi episodi vanno inclusi: l’organizzazione ed erogazione dei servizi, i tempi di attesa, il contesto sociale ed economico, la tipologia di utenza, l’ubicazione e le dimensioni della struttura e il lavoro in solitaria.
Tra le iniziative promosse per contrastare il fenomeno, c’è la Raccomandazione n. 8 del ministero della Salute del 2007, che fornisce indicazioni su come prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari ospedalieri e territoriali. Con la legge n. 113 del 14 agosto 2020 sono state introdotte una serie di misure, tra cui l’istituzione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, l’inasprimento delle pene per i responsabili di aggressioni, iniziative di informazione e specifici protocolli operativi con le forze di polizia per garantire interventi tempestivi.

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