di Roberta Diciotti – Comitato No Cubone Livorno

All’indomani del disastro che nei primi giorni di novembre ha colpito anche Livorno, con gravi allagamenti, evacuazioni e strade a lungo interrotte, il sindaco Luca Salvetti è uscito con due affermazioni meritevoli di un commento. La prima è che da adesso “bisogna cambiare modo di pensare”, sottintendendo che gli effetti del cambiamento climatico sono ormai inarrestabili e sta a noi abituarci. La seconda è che il nuovo Piano Operativo, in fase di approvazione, non comporterà alcuna nuova cementificazione.

Riguardo alla prima affermazione si fa senza dubbio appello all’abusato feticcio della “resilienza”, concetto preso a prestito dalla fisica e definito come l’”energia assorbita da un corpo in conseguenza delle deformazioni elastiche”. Solo che i corpi in questione sono i nostri. È proprio la resilienza, del resto, la seconda “R” del PNRR da cui, anche a Livorno, si cerca di trarre i denari per nuove cementificazioni.

Fra questi, i 3,8 milioni rastrellati per costruire una grande palestra delle dimensioni di 40x40x11 metri, ben 17.600 metri cubi, soprannominata “Cubone” nel mezzo di un’area verde a ridosso delle ultime case del quartiere Scopaia. Un luogo ricco di biodiversità (133 diverse specie arboricole e 32 avicole) dove i residenti sono soliti passeggiare e dal quale quest’anno il Comitato “No Cubone”, che lotta per lo spostamento del progetto, ha tratto un piccolo quantitativo di olio purissimo, donato a sindaco, assessori e consiglieri comunali, nel tentativo di far comprendere la gravità della loro decisione. Già, perché il palazzetto dello sport che si vuol costruire al posto degli ulivi (spacciato come servizio per il quartiere e invece definito “di ambito regionale” e destinato alla gestione privata di società sportive) potrebbe benissimo essere edificato in altre aree vicine, sempre di proprietà del Comune, già cementificate e abbandonate da tempo. Una, in particolare, sembrerebbe la più adatta, più ampia, meglio servita per viabilità e minore impatto sul quartiere. Ma il sindaco fa orecchie da mercante!

E che dire delle strade confinanti l’area verde, a ridosso dei molti edifici abitativi e in prossimità di un rio, già soggette a frequenti allagamenti che si manifestano anche in presenza di pioggia di portata non rilevante? Un’ulteriore impermeabilizzazione del terreno non potrebbe che aggravare la situazione.

Sembra insomma che la resilienza (con la “r” minuscola) serva a farci accettare i futuri disastri causati anche dall’uso distorto dei fondi europei di Resilienza (con la R maiuscola), i quali avrebbero potuto essere impiegati, come da Regolamento Ue, per la messa in sicurezza del territorio.

È ancora fresco, purtroppo, il ricordo degli otto morti dell’alluvione di Livorno nel 2017, quando i corsi d’acqua fra la collina e il mare trasformarono in tragedia l’incuria del territorio e le scelte dissennate di consumo del suolo. Il disastro di questi giorni ha riaperto quella ferita e il sindaco si è affrettato a fare la seconda dichiarazione di cui sopra e cioè che, con il nuovo Piano Operativo, non avremo ulteriore cemento a Livorno. Anche questa seconda affermazione lascia, per così dire, perplessi. Con estrema disinvoltura, infatti, il Piano Operativo è stato adottato nella stessa riunione notturna in cui si è dato il primo via libera al Piano Strutturale. Che prevede 130 ettari di nuova urbanizzazione, metà dei quali aree verdi. Non basta. È unanime il ringraziamento al sindaco da parte delle rappresentanze industriali e artigianali per aver permesso, proprio attraverso il Piano Operativo, nuovi insediamenti nell’immediata periferia della città. Anche in aree idrogeologicamente fragili e nonostante esistano anche in questo caso varie aree industriali abbandonate che potrebbero essere recuperate.

Com’è possibile quindi che tutto questo avvenga senza ulteriore cementificazione? A meno che il trucco non sia sempre quello di giustificare le nuove colate di cemento come trasferimento di volumi da un’area all’altra, al di fuori di qualsiasi considerazione di carattere urbanistico ed ecosistemico. È il gioco delle tre carte, dove la carta che sparisce è il verde, la protezione del territorio e forse la stessa nostra vita.

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